DAGOREPORT - BENVENUTI AL “CAPODANNO DA TONY”! IL CASO EFFE HA FATTO DEFLAGRARE QUEL MANICOMIO DI…
Malcom Pagani per Vanity Fair
Consuntivi: «Non so se in Italia esista qualcuno che sia stato più truffato di me, ma tra collaboratori infedeli, giudici scorretti e avvocati traditori che quando sono stato in difficoltà hanno provato a darmi il colpo di grazia rubandomi quel poco che mi era rimasto, in quella classifica mi piazzerei bene». Tra un risultato e un altro, l’uomo che si affacciava dalla balaustra dello stadio Franchi e palleggiava con Gabriel Omar Batistuta, gioca ormai in un altro campionato: «Il mio fallimento è stato la Waterloo del cinema italiano. Un sistema che non si è mai più ripreso e poggia le sue basi sulle rovine imprenditoriali. Puoi avere le migliori idee del mondo, però senza uno spazio in cui farle correre metterle in pratica è difficile e, se manca il campo, toccare bene il pallone può risultare inutile».
A 77 anni, i sogni di Vittorio Cecchi Gori non sono più a occhi aperti ma somigliano a una metafora: «Per diplomarmi preparai tre anni in uno e fu un massacro, una fatica enorme. Ce la feci per un pelo, ma pensai fino all’ultimo che mi avrebbero bocciato. Quando mi addormento torno a quegli anni, all’epoca della maturità classica e sogno spesso che una commissione mi contesti la versione di greco revocandomi tutto il resto degli studi».
Con le debite proporzioni, proprio quello che le è successo. Aveva un impero, è rimasto con niente.
«Il cinema era tutto ciò che avevo, ho sempre immaginato la mia vita come un film e così è stata. Mi hanno rapinato, è vero, ma è stata anche colpa mia. Non sono mai stato all’altezza e mi sono dimostrato inefficiente, ma il mio crollo fu una cosa imprevista e non ero attrezzato. All’inizio non avevo capito cosa mi stesse succedendo né come reagire».
Cosa succede quando l’esistenza prende un altro verso?
drusilla foer mariagrazia cucinotta vittorio cecchi gori foto di bacco
«Si soffre e poi ci si rialza. Altri sarebbero morti, io ho assorbito la botta e adesso sono qui. Non posso più fare le vacanze senza ragionare sulle spese, ma non me ne importa niente. Ora so che posso vivere con meno soldi e sto bene. Sono più speranzoso e più ottimista, anche se in fondo in fondo mi resta un’amarezza».
Che tipo di amarezza?
«M’hanno fatto una camiciola e non ho ancora avuto giustizia».
Una camiciola?
«Mi hanno messo in mezzo, si sono inventati a tavolino il mio fallimento, hanno preso a pretesto una distrazione, una cazzata minore, per mandarmi all’aria. Ma è così che ti fregano».
Così come?
«Con i dettagli. Con le cazzate».
Una distrazione di fondi non è una cazzata.
greta pierotti vittorio cecchi gori foto di bacco
«Lo è se parametrata a un gruppo enorme, che valeva una fortuna e dava lavoro a migliaia di persone. Poteva essere punita, come un debito da tre milioni per i quali me ne pignorarono centinaia, senza distruggere la Fiorentina, la Finmavi, la mia reputazione. Spero che il mio caso serva a rivedere l’intera legislazione sui fallimenti. Così com’è favorisce soltanto i predatori, gli approfittatori, gli avvoltoi che ti girano sulla testa e per arricchirsi indebitamente, alla prima occasione, ti trasformano in carcassa. Le ingiustizie sono state pesanti, negli ultimi anni mi hanno rovinato la vita. E questi anni non me li ridarà nessuno. Sono stato molto solo, sa?».
I vecchi amici di un tempo non l’hanno sostenuta?
«Ho cenato da poco con Verdone che è una brava persona ed è tra i pochissimi a essermi rimasto vicino. Altri sono fuggiti, ma quando le acque si agitano, sparire è nella natura umana. Ho aiutato tanta gente e tanta gente mi ha abbandonato. Le cose però bisogna guardarle in maniera più ampia. Nel mio mondo davano tutti per scontato di guadagnare comunque a prescindere dalle disgrazie del singolo».
CLAUDIA GERINI - CARLO VERDONE - VITTORIO CECCHI GORI
Invece?
«Invece non è successo, ma sono rimasto comunque solo, anche perché la mia storia è stata raccontata male. A iniziare dai giornali a cui ridere di me è sempre piaciuto. Il resto l’hanno fatto il sensazionalismo e la seconda religione nazionale: l’invidia. In maniera magari inconscia, il potente che sbatte e cade in disgrazia dà sempre un sottile piacere».
Lei cova rancore?
«Per niente. C’è chi mi ha ferito e se il destino vuole avrà quello che si merita, ma non vivo augurandomi il male di nessuno. Ho una carriera che resta un patrimonio nazionale e aspetto ancora giustizia con fiducia. C’è un ricorso al Consiglio di Stato che per il “furto” delle tv, a fine anno, potrebbe farmi riavere 900 milioni di euro. Altri 400 pendono dal furto della Fiorentina. E ad avere la forza, potrei intraprendere molte altre cause. Ma ho 77 anni, il tempo che rimane è quel che è e di bistecche se ne mangia solo una alla settimana».
vittorio cecchi gori eleonora daniele
Vale a dire?
«Che farò quello che è nelle mie possibilità. Ma intanto mi sento forte come prima e avere un orizzonte davanti è già molto. Cammino a testa alta: è vero, ho compiuto degli errori, ho avuto una condanna e ho un paio di procedimenti ancora in corso, ma la mia storia giudiziaria è piena di accuse, dal riciclaggio al voto di scambio, risolte anni dopo con il proscioglimento “perché il fatto non sussiste”. Recuperare serenità è stata una grande conquista ed è più consolante di aspettare il cadavere del nemico sull’altra sponda del fiume».
A proposito di voto di scambio, L’Ulivo nel 2001 la mandò nel collegio di Acireale. Una volta messo piede in città, prima di perdere con Basilio Catanoso, lei promise di acquistare la squadra di calcio e venne accusato di aver pagato i tifosi in cambio delle preferenze.
«La promessa la feci, ma sono cose che si dicono. Io in politica non volevo neanche entrare. Non mi piaceva, non c’entravo niente. Ero il coglione in mezzo ai furbetti. La Dc era allo sbando, ma Martinazzoli era un brav’uomo e nel ’94, proprio mentre Berlusconi entrava in Parlamento, cercai di dare il mio contributo con il Partito Popolare. Stava cambiando tutto. L’unico che aveva capito in che direzione si andasse era Andreazzoli».
Intende Beniamino Andreatta?
«Sì, certo, Andreatta. Andreazzoli è l’allenatore del Genoa. Con i nomi faccio sempre confusione».
25 anni dopo, invece, confondere il nome del leader di Forza Italia è impossibile. Berlusconi era, Berlusconi è.
«Chiunque gli abbia fatto ombra o ci abbia soltanto provato, fossero Craxi, Fini o la Dc, non ha fatto una bella fine. Forse al dunque, io e lui un accordo lo avremmo anche trovato. Ormai è tardi, anche per chiacchierarne».
Nel 1989 fondaste insieme la Penta Film.
il gesto dell'ombrello di valeria cecchi gori
«Un compromesso un po’ democristiano per unire distribuzione e produzione, cinema e tv prima che la televisione fosse presa dalla tentazione di sopraffare tutto e tutti. Io comunque Berlusconi non lo vedo e non lo sento da quasi 15 anni. Ci abbracciammo alla Casina Valadier, per un mio compleanno, e mi regalò 12 cravatte di Marinella. Lo incontrai poi per l’ultima volta poche settimane dopo. Gli portai in dono un libretto di García Márquez, Memoria delle mie puttane tristi. Apprezzò. Erano poche pagine e cominciò a leggerlo avidamente. Le donne gli sono sempre piaciute, ma non sono state neanche loro il suo vero problema».
E quale è stato?
VITTORIO CECCHI GORI BATISTUTA
«La logica del potere che si impone sfruttando la comunicazione. Berlusconi aveva le tv. Berlusconi entrava a casa tua all’ora di cena. Berlusconi lottava e trasformò il Paese in un teatro di guerra. La filosofia del suo gruppo era non fare prigionieri. E la sua, di dominare. Se gli davi il dito ti prendeva il culo. La battuta era mia, poi Agnelli se ne impossessò».
Le donne sono piaciute anche a lei.
«Il massimo della vita. Ma a differenza della generazione di mio padre, uomini borghesi, rispettosi dell’istituzione familiare, ma anche puttanieri, all’idea del bordello non mi adattavo. Cercavo, anche in una storia brevissima, il romanticismo. In fondo sono stato un monogamo, mi affezionavo alle persone e se con gli amici ho sbagliato spesso, con le donne è accaduto di rado. Le rispettavo e con quasi tutte le mie ex ho mantenuto ottimi rapporti».
Lei e Valeria Marini nel 2001 foste svegliati da una perquisizione per l’inchiesta sul riciclaggio. Nella cassaforte i poliziotti trovarono cocaina. Lei la definì zafferano.
«Lo zafferano era una stronzata, ma quella droga è sempre stata un mistero. Le pare che sapendo di essere perquisito avrei lasciato cocaina nella cassaforte? Ce la misero apposta: calunnia, calunnia, qualcosa resterà. Poi la cocaina è una barzelletta, non fumo, non bevo, ho fatto sempre sport. Non ero il tipo».
Ha mantenuto buoni rapporti anche con Rita Rusic?
«Adesso, anche con lei. Mi è stata vicina mentre ero malato e così mio figlio Mario, timido e ancor più timorato di Dio di me con le ragazze, un erede meraviglioso. Con mia figlia invece, che vive in America e non vedo da 5 anni, le cose vanno meno bene. Abbiamo perso la consuetudine. È grave. Ma recupereremo. Ne sono sicuro».
Quindi Rita l’ha aiutata?
«Mi ha dato forza per smascherare i banditi e le sanguisughe che cercarono di depredarmi e isolarmi. “Cecchi Gori è più utile da morto che da vivo”, dicevano. Invece sono vivo, li ho scoperti e adesso faccio tana. Mi riprendo tutto. Come le ho detto, spero ancora di fare qualche film».
Qualcuno insinuò che l’allontanamento del tecnico Gigi Radice, ai tempi della Fiorentina, dipendesse dal fatto che lei si era convinto che l’allenatore facesse la corte a Rita.
«Ma quando mai? È una delle tante balle che hanno scritto su di me. Radice lo mandai via perché non aveva fatto giocare Batistuta. Adesso non c’è più e non è bello dirlo, ma c’era da menallo, altroché».
vittorio cecchi gori e gli amici da casa coppelle
Di Rita, suo padre disse: «“Quella, il mi’ figliolo se lo mette in saccoccia”».
«Lo escludo. Non era il linguaggio di papà. Non ha mai messo bocca nei miei rapporti e se ha detto mezza parola indicandomi una direzione, io, facendo male, non l’ho mai ascoltato».
I giornali scrivevano che lei voleva essere come suo padre e che non l’aiutò l’adolescenza agiata.
«Me la ricordo bene la mia adolescenza, né io né mio padre siamo nati ricchi, tutt’altro. Mario era del 1920, gli è arrivata addosso la guerra a vent’anni, poveraccio».
È vero che Maria Grazia Buccella, il giorno in cui lei sposò Rita, si presentò sul sagrato per dirle di non farlo e fu portata via dai carabinieri?
cecchi gori con roberta pedrelli a cena da casa coppelle
«È vero. A Maria Grazia voglio molto bene così come me ne ha sempre voluto tanto anche lei. La conosco dal 1964, dai tempi de Il gaucho di Dino Risi. Ancora ci telefoniamo».
Le donne l’hanno fatta soffrire?
«Anche, certo. Quando mi innamorai della Muti sul set di Eutanasia di un amore di Enrico Maria Salerno presi una bella sbandata. A mia madre, Ornella piaceva: “Se proprio devi finire con un’attrice prova a stare con lei, è la più spiritosa di tutte”. Purtroppo finì male, lei aveva un altro e la storia non proseguì. Qualche anno fa ci siamo incontrati: “Abbiamo fatto un capolavoro”, le ho detto, “io ho divorziato, il tuo ex ti ha portato via tutto, proprio bravi siamo stati”. Lì per lì abbiamo riso insieme, però non l’ho mai più vista».
valeria marini, vittorio cecchi gori e il figlio mario 2
Perché sposò Rita?
«Avevo superato i quarant’anni e voltandomi indietro vedevo i miei amici che si erano sistemati, avevano mogli, figli, famiglie. Io non avevo niente. Ho capito che rischiavo di diventare un fenomeno e di rimanere solo “figlio” senza mai diventare un uomo».
E poi?
«Poi un po’ figlio e basta sono rimasto comunque. Son stati talmente belli i miei genitori che la mia vera famiglia sono rimasti loro. Mia madre era una donna molto intelligente e mio padre un magnifico padre. Abito in una casa che era quella che Mario comprò ai tempi de Il sorpasso».
A proposito di Sorpasso. Nel film, attorno a un tavolo da ping-pong, con Spaak e Gassman, lei recitò da comparsa. 57 anni più tardi, lei del film di Risi vorrebbe fare il remake.
«Ho scelto Andrea Purgatori e Marco, il figlio di Dino, per scrivere il copione. Il film era bello e confrontare l’Italia di oggi e quella di allora, stimolante. Il sorpasso era uno spaccato del Paese e non è che da allora sia cambiato poi molto».
Cosa era per lei il cinema?
«Ero un uomo normale che si sedeva in sala e capiva cosa poteva interessare al pubblico».
E a lei, che film piacevano?
«I western con John Wayne che andavo a vedere con mia madre piangendo a dirotto all’Aurora di Firenze. Quelli in cui l’eroe moriva. Per me era un dramma, se mi capitava di rivederli, quei film, mi alzavo dal mio posto sempre un minuto prima che accadesse».
(Il cane abbaia, Cecchi Gori lo tacita: “No, ’bbono, stai ’bbono”. Sul tavolo, mentre l’addetto stampa che gli è vicino da sempre, Emilio Sturla Furnò, lo osserva con affetto, Vittorio è alle prese con una parmigiana. Una targhetta in plexiglas color oro con un forno in effigie emana un riflesso da Prima Repubblica: “Riservato Cecchi Gori”).
Lei ha conosciuto bene Harvey Weinstein.
«Mediterraneo, Il postino, La vita è bella. Insieme abbiamo fatto tanti film. Di cinema si intendeva parecchio e aveva capito l’importanza di un cinema che non fosse solo americano. Poi certo, qualche difetto, qualche vizietto, Harvey ce l’aveva. Le donnette ad esempio, ogni tanto ne raccomandava una anche a me, ma se è caduto non è stato per quello. Aveva contro tutte le major. Un po’ come, facendo le debite proporzioni, è accaduto a me. Il mio progetto era sfociare in una piattaforma di prodotto simile all’attuale Netflix. Avevo talmente tanti film tra magazzino e library che avrei potuto farcela, poi sappiamo come è andata».
Sul MeToo che giudizio ha?
«Qualche vittima c’è stata e qualcuno che voleva farsi pubblicità, anche. Ma se penso al divano del produttore mi viene da ridere. Mai andato con una donna per farla lavorare, casomai è accaduto il contrario. Sul set ho conosciuto attrici con le quali poi ho avuto una storia».
Se si guarda indietro cosa vede?
«Una grande tenerezza. Sono stato sempre in buona fede, istinto, ho agito più di istinto che con il ragionamento e adesso più di allora mi sento una brava persona. Invecchiando il cervello fa chiarezza e ogni cosa si fa più limpida. Mi resta quello perché per il resto, non cammino neanche più tanto bene».
Come vorrebbe essere ricordato?
ruta rusicrusiccecchi gori rusiccecchi gori rusicVittorio Cecchi Goricecchi gori e rita rusic con il figlio mariovittorio cecchi gori e sassone e amendolavittorio cecchi goriRITA RUSIC VITTORIO CECCHI GORICECCHI GORI RITA RUSIC
«Come un entusiasta, uno che sapeva fare bene il cinema».
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