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Estratti dal libro ''Traslocando - E' andata così'' di Loredana Berté, scritto con Malcom Pagani per Rizzoli
La vita è così, un maledetto affare del cazzo.
vince tempera, loredana berte e mario lavezzi
In Messico ci divertimmo come pazzi e strinsi un rapporto profondo con Stefania Rotolo. Figlia di un pugliese e di una austriaca, Stefania era una ragazza fantastica e di specialissimo talento. Un’ottimista nata che pensava di avere davanti a sé un orizzonte eterno. Ballava e cantava benissimo ed era destinata a un grande futuro. Morì a trent’anni, di un brutto male, in una casa di cura romana.
La vita è così. Un maledetto affare del cazzo. L’abbiamo assistita fino all’ultimo io e Renato. Stefania era gonfia, spenta, irriconoscibile. Niente a che fare con il giunco biondo che avevo visto prendere il peyote per curiosità e restare stordita in quei lontani giorni messicani. Intorno, quando morì, non aveva nessuno. L’avevano abbandonata tutti.
Paola Borboni: «Ricordati, Loredana, l’uomo non è altro che la testa del suo cazzo»
Il successo di Hair mi spalancò altre porte. Avrei presto partecipato anche a Ciao Rudy di Garinei e Giovannini, lo spettacolo sulla vita di Rodolfo Valentino che veniva riproposto, nel 1972, dopo aver spopolato con Marcello Mastroianni protagonista sei anni prima. Per mettermi in pari con i fuoriclasse del palcoscenico previsti dal parterre di Ciao Rudy e perdere il mio accento, andavo a lezione di dizione da una vera maestra, Giusi Raspani Dandolo.
Nel cast c’era Paola Borboni. Era stata confermata nel ruolo di Cecilia Patterson e nei camerini del Sistina mi dava quotidiane lezioni di vita: «Ricordati, Loredana, l’uomo non è altro che la testa del suo cazzo». Della propria massima, Paola era entusiasta: «La lezione è finita, altro non devi sapere, ci vediamo dopo». (…) La adoravo. Paola Borboni era una donna libera e straordinaria.
paola borboni sposa bruno vilar
Aveva solo settant’anni, ma a me sembrava vecchissima. Nel 1972 aveva sposato un bellissimo ragazzo molto più giovane di lei, Bruno Vilar, un poeta poi morto giovanissimo nell’incidente stradale che costrinse per anni Paola alla sedia a rotelle. Delle tante cattiverie che si dicevano sul suo conto, semplicemente, se ne sbatteva. (…) Amava stare nuda, era ironica e spiritosissima: «Le mutande sono come i governi» mi diceva, «c’è sempre qualcuno che li vuole far cadere». (…)
Io sono cattiva
Se fossi stata più buona avrei perdonato quella troia della madre e quel rotto in culo del padre e invece, avendomi raso al suolo l’infanzia, non li perdonerò mai. Io sono cattiva. E, oggi, sono cattiva per scelta. Sono proprio una bella stronza. A volte lo sono senza rendermene conto, altre voglio proprio esserlo. Sfogarmi. Accanirmi. Ormai non me ne frega più un cazzo di niente e di nessuno e negli anni, purtroppo, ho anche imparato a portare rancore. Se vengo a sapere che qualcuno ha detto su di me qualcosa di poco gentile, segno i nomi sul libro nero e appena posso ne parlo malissimo. (…)
Le botte con Lavezzi
(…) Non erano passate molte settimane dalla fine della storia con Panatta, un bellissimo anno e mezzo che Adriano aveva deciso di chiudere a marzo, mentre io ero in Kenya a posare per la copertina di Sei bellissima. Insieme a molti altri particolari, l’avevo scoperto sull’aereo di ritorno leggendo «Il Corriere della Sera»: «Adriano Panatta e la sua Rosaria si sposano a Firenze». Mi era venuto un colpo. Aveva portato all’altare la prima ragazza incontrata dopo la nostra storia. La notizia mi sorprese.
loredana berte mario lavezzi remo serrangeli
Piansi a dirotto per una settimana e poi mi consolai. Qualche arrabbiatura seria me l’aveva provocata anche Lavezzi. Io pensavo ci bastassimo e che fossimo una coppia, invece lui si concedeva qualche libertà di troppo. Scoprii che frequentava altre due ragazze e, invece di un ultimatum inoffensivo o di qualche inutile minaccia, lo acchiappai e gli feci il culo. Gliele diedi di santa ragione e gli spaccai sulla schiena un paio di chitarre (…)
Leonardo Pastore, Enzo Biagi e l’Aids
Volò via anche Leonardo Pastore, uno dei tanti specchi infranti della mia vita, da Mimì a Federico De Laurentiis. Leonardo morì di Aids in anni in cui dell’Aids si sapeva poco. Mi aveva fatto conoscere chiunque, e quando arrivò il momento di restituire non mi tirai indietro. Accadde un giorno di tanti anni fa. Leonardo si sentiva stanco, tossiva sempre e aveva visto comparire sul braccio e sul collo delle strane macchie rosse. Si svegliò in un mare di sudore. Era così bagnato che le lenzuola si potevano strizzare.
Andò a farsi vedere, lo trattennero per qualche ulteriore controllo e, dopo pochi giorni, arrivò anche la sentenza. Aids. «Ha due mesi di vita» gli dissero. Leonardo fu più forte. Resistette quattro anni. E fu proprio quello il periodo del calvario. L’illusione. La delusione. L’ascesa. La resistenza. Il crollo. Il giro del mondo degli ospedali. Il viaggio della speranza al Pasteur di Parigi, dove Luc Montagnier, poi premio Nobel per la medicina nel 2008, sperimentava le primissime cure sui pazienti, usandoli come cavie.
A Parigi vidi una situazione allucinante. Sporcizia, topi, vomito, lenzuola sporche. Leonardo aveva provato a suicidarsi ma non ci era riuscito. Uscii di testa, mandai affanculo chiunque, feci valere le mie ragioni. Al Pasteur in quei giorni c’era anche Enzo Biagi. Si lamentò del casino. Disse e scrisse cose odiose. (…)
loredana berte panatta mia martini
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paola borboni
paola borboni sposa bruno vilar
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