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A disagio con le lingue, "El masimùn" è a volte colto da umorismo involontario: "Made in China mi dite? Che vuol dire? intendete la china dell'inchiostro o il ferro-china Bisleri?". L'altro giorno il direttore di Rai 5 Massimo Ferrario non rideva. Dicono che circondato dagli scatoloni, nel cimitero degli elefanti affacciato su Castel Sant'Angelo, "El masimùn" abbia prima deglutito. Poi rimpianto i bei tempi dell'occupazione della seconda rete statale, infine iniziato a urlare. Il telecomando nella destra. La cornetta nella sinistra. I capistruttura agitati. Le segreterie impazzite.
"à furibondo, furibondo". Nella marginalità , la rabbia non ha anagrafe. Nell'etere, il surrealismo è un sovrappiù. Così, dipingendo un mistero meno fitto di Magritte, Ferrario ha strappato la tela del programma di Pietrangelo Buttafuoco ("Questa non è una pipa", alla seconda stagione su Rai 5) e deciso: "Mai più".
Non è chiarissimo se lo stop a una trasmissione intelligente, applaudita dalla critica, prodotta a costo zero, con gli ovvi ascolti da prefisso telefonico propri dello sperimentalismo della rete stessa sia stato frutto delle memorie in odor di scatologìa del Marchese Fulvio Abbate, impegnato a rievocare con il conterraneo Buttafuoco l'antico vizio di un amico di suo padre (scorreggiava a vetri chiusi in attesa di un fermo della polizia stradale per poi abbassarli repentinamente in faccia ai poliziotti, a lampeggiante in vista, in coincidenza con la richiesta canonica: "documenti, prego") o del saluto in arabo tra l'editorialista di Panorama e Il Foglio e collaboratore delle pagine culturali di "Repubblica" e l'amico Omar Camilletti, dominus del Centro Culturale Islamico di Roma. "Salam Aleikum" si dicevano. "La pace su di voi".
Un'eversione cacofonica perché per il leghistissimo Ferrario, l'unico "Salam" ammesso nelle stanze di Rai 5 è l'etto di ungherese che stravolto dalla nostalgia per il Sole delle Alpi e la "Regio insubrica" fondata nel '95, ogni tanto trangugia per sentirsi non in "Africa", ma in un appartamento di ringhiera dell'amata Lombardia. Al di sotto della linea gotica, in territorio nemico, non si fanno prigionieri.
E Ferrario (dopo aver stilato la lista delle parole proibite con "cacca" al primo posto) e liste di proscrizione (mai a Rai 5 Giuliano Ferrara, Barbara Palombelli, Eugenio Scalfari e chissà perché, Chiara Gamberale) ha detto basta. "La trasmissione è orribile". E l'ha tagliata. Cancellando il comunicato che ne prometteva l'avvio in prima serata per il 25 novembre e rifiutandosi di fornire ai diretti interessati più esaurienti spiegazioni.
Così "Questa non è una pipa" non vedrà Battista disquisire di Tea Party, né Mario Sechi ragionare con humor sul nuovo ordine mondiale, sul complotto del gruppo Bilderberg (certe omissioni fanno proseliti) e su ciò che aspetta un'Europa schiava non di Roma, ma delle brame bancarie. Ferrario ha impedito agli spettatori del canale di godersi Buttafuoco alle prese con la privacy, Heiddeger e Sartre, Merlo in lotta con il cretino cognitivo, Luca Bianchini in viaggio nelle brutture, anche semantiche, dei presunti "vip".
Ogni tanto, nella noia, Ferrario è attraversato dal dubbio. Ritiene troppo complicato il linguaggio usato da Buttafuoco, profana Arbasino: "Le vostre cose non possono essere capite dalla casalinga di Voghera", riscrive la propria storia verde padania sotto il generoso ombrello tricolore: "Bisogna parlare in italiano" ha urlato alle segretarie, imbarazzate ambasciatrici del messaggio di chiusura anticipata. "Questa" forse "non è una pipa". Il comasco Ferrario, roccia del '60, ex perito informatico, sicuramente non è un direttore.
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