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Roberto Beccantini per "Il Fatto Quotidiano"
Fra le "torte" sotto esame a Cremona e i calcetti nel sedere di Firenze, la volata scudetto rotola verso l'epilogo più naturale: Milan. Non c'è Juventus che tenga, anche se Conte è imbattuto, ha travolto la Fiorentina con un 5-0 che farà epoca e vanta 15 punti in più di Delneri. Attenzione, però: nelle ultime otto partite, la Juventus ha raccolto solo due successi, e sempre contro avversari ridotti in dieci (Catania, Fiorentina).
Nel raptus che ha spinto Cerci a scalciare De Ceglie, c'è tutta la follia che, alimentata da un livore secolare, ha trasformato Fiorentina-Juventus in una cosa molto più grande di una sanguigna sfida tra nemici. Ogni brusio, nei nostri cortili, sembra "grande". Il Milan viaggia in prima, per conto suo; un rigore di Ibrahimovic e una sgommata di Emanuelson hanno liquidato il Parma, membro di quel ceto medio che continua a tracciare il confine tra campioni e sfidanti. Dopo le tre trasferte di Bologna, Genova e Firenze, la ritrovata Juventus dovrà gestire tre impegni casalinghi non meno delicati, non meno cruciali: stasera il Milan (Coppa Italia, semifinale di ritorno; andata, Milan-Juve 1-2), poi Inter e Napoli. Con la primavera non si scherza.
Ci crogioliamo in una mediocrità che mortifica. Sull'Inter non si sa più cosa scrivere, se non che sbaglia i rigori che le danno e l'arbitro, Gava, sbaglia a non concedere ai rivali quelli che ci sarebbero; il grigio 0-0 con l'Atalanta, priva di Denis, non sposta di una virgola né il futuro di Ranieri, segnato, né i piani riformisti di Moratti, obbligati. E la Lazio? Bastonata dal Bologna, sculacciata da Legrottaglie: il laboratorio italo-argentino del Catania ha gli stessi punti della multinazionale Inter, a onore e gloria di Montella, un giovane mister che non si atteggia a scienziato e si fa raccomandare, esclusivamente, per il gioco che propone, croccante e incisivo.
Nel frattempo, è l'Europa a metterci in riga, sono le sue Coppe a fissare le gerarchie, al netto del silicone che gonfia la retorica di certi pulpiti. In attesa di Milan-Barcellona, madre di tutte le sfilate glamour, il calcio del campionato - che quasi mai coincide con il calcio del Paese - ha incassato gli ennesimi schiaffoni estero su estero, come spesso capita non appena cerchiamo di fare i duri lontano dalle gonne materne.
Abbiamo perso per strada Palermo, Roma, Lazio e Udinese in Europa League, Inter e Napoli in Champions: sei squadre su sette. Un disastro; e neppure inedito, a essere pignoli. L'Inter è uscita per mano dell'italianissimo Marsiglia di Deschamps; il Napoli, generoso e sciupone, ha sofferto le spallate del Chelsea, trascinato da Drogba , fino a venirne soverchiato nei supplementari.
Ci sono poi i su e giù romanzeschi dell'Udinese. Stordita dalla bocciatura infertale dagli olandesi dell'Az Alkmaar, la fanteria leggera di Guidolin ha ingaggiato un furibondo corpo a corpo con il Napoli, da due a zero a due a due. La banda Mazzarri era reduce da cinque vittorie e lo scorno di Londra. In difesa, continua a offrire troppi varchi. L'Udinese ha dovuto far fronte ad assenze, espulsioni, rigori: non si può dire che Rocchi sia stato "fortunato". Su tutti, Pinzi e Cavani. Di ogni nazione, la Champions League fotografa l'eccellenza, mentre l'Europa League pesa la qualità media.
Dall'archivio, solo pugnalate: ultima italiana a conquistare l'Europa League, quando ancora si chiamava Coppa Uefa, il Parma di Malesani nel 1999; ultima semifinalista, la Fiorentina di Prandelli nel 2008. Non sorridono nemmeno gli inglesi. A casa i due Manchester; esclusi, senza lo straccio di un alibi, Ferguson e Mancini.
Il logorio dei fuoriclasse si avverte anche in Premier, altro che. Comandano Spagna e Germania: gli iberici, affogati tra i debiti; i panzer, più virtuosi. La conferma arriva dalle 16 squadre superstiti tra Champions ed Europa League: 5 sono spagnole (Barcellona, Real, Athletic Bilbao, Valencia, Atletico Madrid), e 3 tedesche (Bayern, Hannover, Schalke). A noi e agli inglesi ne rimane una, come a Cipro (Apoel). Meditate, gente, meditate.
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