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Elvira Serra per il “Corriere della Sera”
Era il 1961. «Mi stavo dividendo dalla mia prima moglie ed ero in cerca del mio futuro. Il futuro più immediato era rappresentato dal Premio Strega: erano i giorni agitati nei quali si cercano i voti. Per distrarmi, andai a fare una gita a Positano insieme con altri amici: c’erano Vittorio Caprioli e Peppino Patroni Griffi».
E c’era anche Ilaria Occhini, bellissima, famosa per gli sceneggiati Jane Eyre e L’Alfiere; al cinema e a teatro era già stata diretta da Luciano Emmer, Mario Monicelli, Luchino Visconti e Arthur Miller. Lei aveva 27 anni, Raffaele La Capria dodici di più. Lui vinse lo Strega, con Ferito a morte. «Soltanto per un punto in più, un puro caso. Ma il premio più bello fu aver incontrato Ilaria».
ILARIA OCCHINI RAFFAELE LA CAPRIA - Copyright Pizzi
Sono passati cinquantaquattro anni. «Diventammo subito l’attrazione di certi giornalisti, ci disturbavano parecchio. Ma noi cominciammo lo stesso a fare dei piccoli movimenti. Ricordo la prima vacanza in Sardegna, tra Stintino e l’Isola Rossa. Mi meravigliavo della sua fama, perché ovunque, pure nei posti più nascosti, si radunava una piccola folla per vedere e salutare Ilaria, che era una delle donne più belle d’Italia, non lo pensavo soltanto io... Me la portavo sott’acqua tenendola per mano, facevo pesca subacquea con lei».
Ilaria Occhini e figlia Alexandra La Capria
Il divorzio dalla prima moglie, Fiore Pucci, fu abbastanza semplice. «Ci eravamo sposati soltanto con rito civile. Il grande dolore fu separarmi da nostra figlia, Roberta, perché era nell’età in cui le bambine adorano i padri; ma con sua madre era ormai un capitolo chiuso. Con Ilaria ci sposammo in chiesa, nel ‘66, dopo la nascita di Alexandra: per poterle dare il mio nome dovemmo farla nascere a Londra. Le due famiglie, però, non sono mai state antagoniste. E oggi siamo nonni innamorati dei nostri tre nipoti, che so’ belli ».
LINO JANNUZZI CON ILARIA OCCHINI E RAFFAELE LA CAPRIA
Di Ilaria amava l’intraprendenza: «Una volta comprò per me a Milano un’auto di seconda mano, me l’ero guadagnata con una sceneggiatura. Ebbene, la portò lei, guidando fino a Roma in un’unica tirata. Quando mi affacciai dal balcone dello studio dove abitavamo e vidi questa giovane donna al volante della decappottabile, tutta ridente d’estate, pensai a quanto fosse bella». Di lei, ancora, amava che fosse indipendente: «Viveva del suo lavoro e sapeva amministrarsi da sola, senza che nessuno l’aiutasse».
Il lavoro, però, era un «avversario». «Il teatro me la portava spesso lontano, per un mese intero. Ma era il suo amore e dunque era la radice dei nostri contrasti. Certo che ero geloso, è logico! Ma non le feci mai delle improvvisate, semmai lunghe telefonate, quelle sì».
Dice che i suoi ricordi non sono «molto romantici ed esaltanti, semmai normali, di vita quotidiana». Eppure si sente il sorriso nella voce di Raffaele La Capria mentre parla di Panarea, «un’isola selvaggia e bellissima: certe sere andavamo nei gozzi dei pescatori, con la lampara, a pescare i calamari, e li mangiavamo di notte». Sempre alle Eolie, per pavoneggiarsi davanti alla piccola Alexandra, si tuffò dalle rocce più alte: «Mi aveva seguito Clementina, la nostra bassotta, che si buttò giù con me, fece un volo come una sposa indiana che si sacrifica con l’amato. Per fortuna sopravvisse».
Delle nozze ricorda la faccia di Goffredo Parise che sbucava da un enorme mazzo di fiori. Gli amici sono stati un pilastro della loro vita affettiva. «La nostra casa è sempre occupata dalle persone a noi care: viene Emanuele Trevi, Alfonso Berardinelli, quando poteva passava anche Giorgio Napolitano».
Se dovesse fare oggi una dichiarazione d’amore a sua moglie, le direbbe questo: «Ti voglio bene e te ne avrei voluto pure se non fossi stata mia moglie, perché sei un essere umano di cui apprezzo le qualità». A distanza di così tanti anni, di lei gli piace «poter conversare, stare insieme senza annoiarsi, rispettare la sua intelligenza e il suo amore per gli animali».
Considera la casa il simbolo della loro unione coniugale, la cosa più bella che ha fatto lei per lui. «Tutto porta il segno del suo gusto e del suo amore per le cose: è come se vivessi dentro di lei».
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