CIAO GELLA, NOSTRA MAESTRA DI GIORNALISMO – STRONCATA DA UN CANCRO AI POLMONI, SE N’E’ ANDATO LA MITOLOGICA GELLA MINETTI, LA PENNA ELEGANTE E IMPLACABILE DI UN’EDITORIA ORMAI SCOMPARSA

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Egle Santolini per "La Stampa"

Quanto ci intimidivi, Gella, e quanto ti abbiamo voluto bene. Gella, anzi «la Gella», era la nostra collega Maria Giulia Minetti, e quanto è dura farvi capire chi fosse veramente, ora che pare non ci sia più: con la voce ferrosa e i tailleur «dell'Armani», e il fazzoletto odoroso di Mitsouko, e gli scrittori indiani nella borsa.

Gella era, intanto, un'elegantissima signora milanese (nata però in provincia di Como, nel 1943, per via di guerra e sfollamenti) e insieme il più implacabile degli editor: terrore dei collaboratori, che maneggiava con metodi prussiani, e di noialtri in redazione cui nulla veniva perdonato: la pronuncia francese incerta e il mocassino sbagliato, il romanzo non ancora letto e il film non capito.

La terapia Minetti poteva portarti alle lacrime, ma aveva un effetto infallibile: se so che in Hugh la g è muta lo devo a lei, e ogni volta che scrivo «be'» mi sento fischiare nelle orecchie quella erre moscia: «Senz'acca mi vaccomando, qui non si tvatta mica di pecove».

Maria Giulia Minetti era soprattutto un formidabile giornalista culturale, del tipo che sarà sempre più difficile incontrare, di solidissima formazione umanistica e di mai sanata passione per l'America, fin dai tempi della laurea in Lettere con una tesi su Damon Runyon. Che era un tipo ruvido e appassionato pure lui, bravo a raccontare le corse dei cavalli a Saratoga e le esecuzioni sulla sedia elettrica.

La strada, dunque, era segnata fin da allora, al profumo di Prima pagina e di dialoghi svelti alla Howard Hawks. Anche se Gella approdò al giornalismo relativamente tardi, dopo un lungo lavoro editoriale alla Longanesi.

A Epoca , dove seguì anche il caso del rapimento Dozier, e poi alla Stampa , ha raccontato il lato debole e quello forte del nostro tempo con un linguaggio (e un pensiero) limpido e feroce, di stampo lombardo-illuminista. Nessuno ci ha raccontato così bene la Biennale di Venezia e la Mostra del Cinema: prima, nei pezzi, e soprattutto dopo, quando tornava, con quelle lunghe gambe accavallate sulla scrivania. C'erano i suoi viaggi (l'ultimo, alle Comore, concluso un mese fa). C'erano i suoi scrittori: Salman Rushdie, Hanif Kureishi, Vikram Chandra, e c'erano le sue donne, magnificamente intervistate: Franca Valeri e Franca Rame, Mariangela Melato e Annamaria Guarnieri.

E le mille serate a teatro e al cinema, poi vivisezionate con minuzia durante certe tavolate da lei (era una cuoca eccellente e faceva collezione di pentole di rame). Oggi trovate negli spettacoli uno dei suoi ultimi articoli, sugli anni milanesi di Cathy Berberian e di Luciano Berio. La sua città, il suo mondo.

 

maria giulia minetti