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Marco Giusti per Dagospia
Ci siamo. Altro che "Hunger Games", che "Thor" con martello e bicipiti in mostra, altro che Checchi Zaloni! Preparate i candelabri e i vecchi dischi di Liberace per il film più frocio dell'anno a lui dedicato. Beh, di dischi di Liberace non credo ce ne siano parecchi in giro, ma qualche candelabro si riesce ancora a trovare.
Non per tutti i gusti, è vero, ma se vi piace solo un po' il genere impazzirete per questo capolavoro del camp diretto con amore da Steven Soderbergh e già presentato con successo a Cannes, "Dietro i candelabri" ("Behind the Candelbras"), sorta di biografia del pianista Liberace e del suo fidanzato, Scott Thurson, interpretati non da Paolo Limiti e Floradora, ma da due attori supermachi come Michael Douglas e Matt Damon. E stavolta, la trasformazione di Michael Douglas, anche se quando si toglie la parrucca sembra un po' Giorgio Bracardi al pianoforte, è davvero strepitosa.
E Matt Damon nei panni del biondone ingenuo non è da meno. Da quando seguiamo l'ingresso proprio di quest'ultimo in un bar alla "Cruising" in pieno 1977 a quando lo vediamo assistere al suo primo concerto di Liberace e sentiamo il celebre pianista che suona con il candelabro sul piano dedicare il brano alla sua vecchia mamma Frances, nientepopodimeno che Debbie Reynolds, siamo già completamente conquistati e abbiamo interamente capito il progetto di Steven Soderbergh e del suo sceneggiatore Richard LaGrevanese.
"Behind the Candelabra", oltre a essere la biografia del pianista più camp di ogni tempo (certo che lo adoravo, avevo visto anche il suo incredibile film della Republic, "Sincerely Yours") e la storia dettagliata del suo amore con il giovane Scott Thurson, fra Las Vegas e Los Angeles dei folli anni 70 prima e dopo l'arrivo dell'Aids, che si porterà via Liberace nel 1986, non è solo un capolavoro di messa in scena, di direzione di attori, ma un viaggio nel gusto di un'epoca, la nostra, e del cosa c'è dietro i candelabri della cultura pop americana.
Affidando i due ruoli maggiori a due attori eterosessuali (certo la sicurezza...), e filmandoli nella loro intimità sessuale, quando mai avete visto baci tra Douglas e Damon nudi a letto?, Soderbergh sfonda sia la cortina difensiva del camp e del trash televisivo, sia quella della rilettura, ormai attualissima, della cultura e della rivoluzione gay anni 70. Affrontando, con un numero incredibile di vestiti, mantelli, anelli, il look del tempo, che è diventato parte della nostra cultura più alta (non solo televisiva) e la follia della chirurgia invasiva che ha massacrato il mondo hollywoodiano, e non solo, da allora fino a oggi.
L'entrata in scena del dottore col volto tiratissimo, un incredibile Rob Lowe, che porterà al restauro folle del volto di Liberace (ne verrà fuori un Berlusconi 2013) e alla costruzione del suo amante, Scott, come simil-Liberace ci introduce al tema fondamentale per tutti gli anni 80 della nascita delle star immortali e da imitare, un percorso che ci porterà a Madonna e a Lady Gaga e a tutte le loro imitatrici.
Certo, Liberace, diviso tra giovani amanti che sbatte fuori di casa quando ne trova uno più invitante, o che quando muore la mamma non fa altro che dire "Sono libero" (grandissimo momento di verità ), è una specie di mostro costruito dalla tv e dello spettacolo che ben conosciamo. Ma non è solo lui e la sua vita il tema del film, quanto l'autopsia della follia collettiva che tra gli anni 70 e gli anni 80 ha portato a quello.
Non c'è mai niente di eccessivo o di volgare, ma è tutto tenuto sotto stretto controllo da Soderbergh e dai suoi collaboratori, perché uno scivolamento sul trash con un soggetto simile avrebbe portato al ridicolo e alla parodia. Già con la scelta della coppia Douglas-Damon siamo sicuri di non scivolare nel ghetto della commedia gay friendly, ma in qualcosa se non di maggiore, di diverso e meno facile. E, credo, ancor più di culto soprattutto per il pubblico gay. Costumi, scenografie e balletti incredibili. Musiche adattate dal mitico Marvin Hamlisch, alla cui cara memoria il film è dedicato.
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