DAGOREPORT - COSA POTREBBE SUCCEDERE DOPO LA MOSSA DI ANDREA ORCEL CHE SI È MESSO IN TASCA IL 4,1%…
Marco Giusti per Dagospia
Ok. Deciso. Questo è il film giusto per i giorni più caldi dell'anno da vedere nella Roma deserta a 40 gradi. Coi suoi 157 minuti (due ore e mezzo!) di piani sequenza e silenzi interminabili, "C'era una volta in Anatolia", giallo senza nulla del giallo, ultima opera del più palloso regista turco in circolazione, Nuri Bilge Ceylan, una specie di Antonioni di quarta, premiatissimo a Cannes l'anno scorso (te pareva), che si diverte a citare nel titolo il celebre film di Sergio Leone solo per confondere lo spettatore (scherzo un po' del cazzo, certo...), si conferma la scelta ideale.
Già mi sono fatto del male per vedere il capolavoro comico di Claudio Fragasso, "Operazione vacanze", un'ora e mezzo di viaggio per arrivare alla multisala di Guidonia (quattro spettatori in totale) e ancora peggio è andata per recuperare un brillante horror giovanile americano, "Cabin in the Woods", all'UGC di Fiumicino, viaggio interminabile e tre spettatori in una sala sterminata all'interno di enormi spazi totalmente vuoti (cosa ne faremo di queste chiese nel deserto fra qualche anno?). In fondo, in questo caso, da casa mia al Mignon, sono solo due fermate d'autobus (il 490 o il 495), dieci minuti a piedi. E a leggere le critiche ti viene proprio l'acquolina in bocca.
Sentite cosa scrive Curzio Maltese su "Repubblica": "Nuri Bilge Ceylan, classe 1959, si conferma al sesto film uno dei rari grandi poeti del cinema mondiale. Se vi dicessero che non dovete perdervi un film turco di due ore e mezza, con attori sconosciuti, probabilmente correreste al primo multisala in 3D della zona. [anfatti...] Ma la ricompensa di un po' di pazienza è enorme. (..). Come definirlo? Un thriller poetico, forse" .
Totale: cinque palle. Più le mie, come diceva Verdone, sette. E l'ancor più fresco Gianluigi Rondi sulle pagine de "Il Tempo": "Presentato l'anno scorso al Festival di Cannes, si vide subito assegnare il Gran Premio della Giuria. Meritato, meritatissimo, tanto che sento l'obbligo di rivolgermi ai nostri spettatori provveduti perché non si facciano intimorire dalla sua lunghezza fuori norma e dalla staticità di ritmi che sono in realtà strettamente connessi al suo respiro largo e, contemporaneamente, ai suoi numerosi passaggi intimi e raccolti".
Insomma un capolavoro sicuro, anche se qualche crepa traspare dalla recensione di Roberto Escobar su "L'espresso": "Dura più di due ore e mezza. Nuri Bilge Ceylan assicura che nel primo montaggio ne durava una in più, e che il taglio gli ha consentito di concentrarsi sul racconto centrale". Probabile che si sia addormentato insomma. E, oh meraviglia!, navigava sulle tre ore e mezzo nell'edizione integrale...
Ma la conferma che sia il film giusto per i giorni più caldi dell'anno ci arriva da Maria Rosa Mancuso su "Il Foglio" che è l'unica, santa donna, a dire davvero ciò che pensa: "Esasperante è la prima parola che viene in mente. Alternata con la battuta di un critico che, a proposito di un altro film (al confronto, veloce come una saetta), sentenziò "not boring, but tedious".
A non voler parlare un'altra volta di tedio, possiamo orientarci verso lo sfinimento. Sì, sappiamo che il turco ha preso premi ovunque (..). E abbiamo letto abbastanza recensioni osannanti per sapere che siamo in netta minoranza: i più lo considerano un sublime capolavoro dell'arte cinematografica. Casca l'asino sulle motivazioni, tutte riassumibili nella formula "non concede nulla al gusto del pubblico". Cara al critico di provincia, ma non solo".
Insomma, cercare di prendere l'autobus e vedere questo film turco rischia di essere un'impresa fatale. Qualcosa che può farci del male nel profondo. Ma forse, almeno per vedere, i disgraziati che sono stati convinti da Curzio Maltese che è un film imperdibile, ne varrebbe la pena. Devo confessare che qualche anno fa avevo visto a Cannes un film del geniale Nuri Bilgen Ceylan, una specie di "L'avventura" in salsa turca con qualche scena di sesso, ma totalmente insostenibile, come scrive la Mancuso. Mi ero ripromesso di non ricaderci mai più. Ma l'impresa è così invitante...
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