IL CINEMA DEI GIUSTI - TIM BURTON È PURTROPPO SCHIAVO DI SE STESSO E DEL MERCATO, E “DARK SHADOWS” È UN HORROR-CAMP SENZA ALCUNA TENSIONE DI REGIA, CON UN FINALE TROPPO LUNGO E SOFFOCATO DAGLI INUTILI EFFETTI SPECIALI - FINITO IL GRAN LAVORO VISIVO E SCENOGRAFICO, FINITI ALICE COOPER ED EVA GREEN, RESTANO JOHNNY DEPP SEMPRE COL CERONE, MICHELLE PFEIFFER INVECCHIATA ED HELENA BONHAM CARTER IMBRUTTITA E INCICCIOTTITA…

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Marco Giusti per Dagospia

Dark Shadows di Tim Burton.

E' un po' schiavo di se stesso il vecchio Tim Burton, genio assoluto del cinema fantastico, da qualche anno parcheggiato in Inghilterra alla ricerca più di blockbusters alla "Alice in Wonderland", un successo internazionale anche grazie al 3D, che di veri progetti originali. Mentre sbarca a Parigi la grande mostra che il Moma gli dedicò un anno fa, assolutamente imperdibile, esce nelle sale di tutto il mondo il molto atteso "Dark Shadows", sulla carta un progetto estremamente personale, sia per lui che per il partner di sempre Johnny Depp.

Bravi ragazzi di Los Angeles cresciuti con le mille e passa puntate della soap coi vampiri ideata e diretta fin dai primi anni '70 da Dan Curtis, un regista importante e non così noto da noi, e interpretato da Johnathan Frid nei panni del vampiro televisivo Barnabas Collins, vero vampiro inglese finito nel Maine a mordere i sani cittadini americani. Un progetto, quello del remake di "Dark Shadows", che ossessionava Burton e Depp da parecchi anni e che hanno affrontato, purtroppo, in un periodo di decadenza per entrambi.

Certo, la decadenza di Tim Burton e di Johnny Depp offre comunque allo spettatore dei prodotti di altissima classe, soprattutto per la ricchezza visiva di quello che ci offrono, ma certo non possiamo ritrovare in "Dark Shadows" le emozioni che i due ci avevano offerto in "Edward Shissorhands" o in "Sleepy Willow". E' probabilmente pensando a questa debolezza di fondo, magari, che la Warner Bros non ha spinto per mostrare il film a Cannes, dove proprio due anni fa Tim Burton, nei panni di presidente della giuria, venne accolto e venerato come se fosse stato Michael Jackson.

O pensando a che faccia avrebbe fatto il nuovo presidente della giuria, Nanni Moretti, vedendo questa storia supercamp di vampiri ambientata nel 1972. Peccato perché proprio dal 1972 italiano sembra provenire lo stock di pantaloni a coste e golfini a V che Moretti continua a indossare con estremo coraggio nel 2012. Tim Burton però non si sofferma sui pantaloni di Nanni, ma si diverte come un pazzo, e noi con lui, a riprendere dal 1972 i grandi lati glam, rock e camp del periodo.

La grande musica del tempo, da T Rex ai Carpenters, dal "Crocodile Rock" di Elton John al "Nights in White Satin" dei Moody Blues, alla "School's Out" di Alice Cooper, che fa un grandissimo cameo nel film come se stesso, e Barnabas Collins continua a prenderlo per la signora Cooper, domina un po' tutto il film, e Danny Elfman ricostruisce una colonna sonora che deve incastonare le hits del '72 come parte quasi visiva della storia.

Ma si citano anche i grandi film di quell'anni, "Deliverance" di John Boorman e "Superfly"di Gordon Parks. Coi collaboratori di sempre, Colleen Atwood ai costumi, Rick Heinrichs alle scenografie, Burton se la spassa a ricostruire in Inghilterra la piccola cittadina di Collinsport nel Maine, che sembra una della tante cittadine americane della infanzia sua e di Johnny Depp. Con il nuovo venuto, nel suo mondo, Bruno Delbonnel, grande direttore della fotografia francese che abbiamo tutti venerato nel "Faust" di Sokurov, si lancia invece in una ricerca visiva che deve unire la foto da soap della serie originale e il mondo dei teen movies anni '70, l'horror baviano e l'horror di Dan Curtis.

Per noi cinefili antichi tutto questo è un gran divertimento, come se qualcuno rimettesse in scena il televisivo "Il segno del comando" con Ugo Pagliai mischiandolo con hit del tipo "Piccolo uomo" di Mia Martini, "I giardini di Marzo" di Lucio Battisti, "Tuca Tuca" di Raffa e il camp involontario dei film rivoluzionari di Silvano Agosti ("N.P.") e di Adriano Aprà ("Olimpia agli amici") che hanno massacrato la nostra giovinezza.

Tim Burton costruisce le sue immagini e adatta a queste il suo protagonista Johnny Depp come Barnabas Collins, più o meno identico a quello originale, interpretato da un modesto attore, Jonathan Frid (da poco scomparso, fa però un'apparizione nel film), che per tutta la vita sarà schiacciato da quel ruolo, e tutti i suoi personaggi, dalla Elizabeth della grande Michelle Pfeiffer, alla ragazzina Carolyn di Chloe Grace Moretz, bravissima, alla dottoressa Julia Hoffman, interpretata da Helena Bonham Carter, alla cattivissima strega Angelique, amante e nemica del vampiro, una Eva Green in stato di grazia.

Tutti perfetti, anche se Johnny Depp sembra un po' schiavo del dover essere sempre Johnny Depp col cerone e ragazzino anche a cinquant'anni e quel che funziona per le vere star del rock, come Alice Cooper, non funziona per gli attori che furono bellissimi da giovani. Michelle Pfeiffer, purtroppo, è un po' invecchiata dai tempi di Catwoman in "Batman Returns" e Helena Bonham Carter si diverte a farsi brutta e cicciotta, perfino a farci intuire che sta facendo un blow job alla Linda Lovelace al vampiro, ma non sviluppa un vero grande personaggio.

Cosa che riesce perfettamente a Eva Green come strega Angelique. E' su di lei che Tim Burton, e Johnny Depp come suo partner, compiono il vero miracolo del film, ricostruendola come nuova Barbara Steele, una queen of gothic del 2000, bellissima, cattiva e ultrasexy. Vederla in azione mentre riesce a conquistare il suo amato-odiato vampiro e contemporaneamente a rovinare la tappezzeria del suo ufficio è uno dei grandi momenti del cinema di Tim Burton che dimostra che potrebbe ancora graffiare come un tempo. Purtroppo il film, scritto con grande intelligenza da Seth Grahame Smith, venerato autore di nuovi best seller horror stravaganti come "Pride and Prejudice and Zombies" e "Abraham Lincoln: Vampire Hunter", cede sulla cosa più importante.

E' un horror camp senza alcuna tensione di regia. Pure il finale è troppo lungo e soffocato dagli inutili effetti speciali. Alla fine, finito il gioco del come eravamo nel 1972 e l'apprezzamento per il gran lavoro visivo e scenografico, finito il cameo di Alice Cooper e una serie di trovate e jokes interni fulminanti, come quando Barnabas scambia la grande M del MacDonald per la M di Mefistofile (frecciata al "Faust" di Sokurov?) o come quando sfonda criticamente una puntata di "Scooby Doo", resta il rimpianto di come sarebbe stato il film in mano a un Tim Burton più ispirato o più concentrato o più libero dal mercato.

Il fatto che abbia premiato a Cannes, nell'anno in cui fu presidente della giuria, il difficile "Zio Boonmee" dell'impronunciabile Apichatpong Weerasethakul, che abbia prodotto quest'anno "Abraham Lincoln: Vampire Hunter" scegliendo come regista lo scatenato russo Tibur Bekmambetov o stia finendo di girare il suo vecchio "Frankenweenie" in versione animata, dimostra che il suo gusto e la voglia di fare cinema non gli mancano di certo. Basterà uscire dalla tomba come un qualsiasi rispettabile vampiro del 1972.

 

TIM BURTON CON MICHELLE PFEIFFER E JOHNNY DEPP johnny depp CON MICHELLE PFEIFFER dark shadows EVA GREEN IN DARK SHADOWS DARK SHADOWS DI TIM BURTON