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GLI UNI E GLI ALTRI – su Sky Arte, alle 21,15
dago in the sky lo scandalo fatto ad arte 9
Chi è che non ha desiderato per un momento di essere qualcun altro? Chi è soddisfatto della propria identità, del proprio essere, del proprio corpo? I santi, forse. Ciascuno di noi porta con sé le cicatrici dei suoi dolori, dei suoi desideri e delle sue molteplici separazioni.
Nella vita di ognuno di noi è dominante qualcosa che non può trovare una concreta realizzazione se non attraverso la costruzione di una nuova realtà, di un alter ego, di un’altra pelle in cui rifugiarsi per mostrare eventuali lati oscuri insiti nella mente umana. E l’arte, che è sempre stata una reazione alla vita, attraverso il travestitismo, ha tradotto in realtà estetica quella parte dell'esistenza che non può essere governata dall'ordine della ragione: la propria identità.
Dall’antica Grecia alle rappresentazioni medioevali, dal teatro Kabuki giapponese all’opera settecentesca, sono gli uomini a ricoprire i ruoli femminili. Si sa bene quali tabù morali e religiosi portarono a proibire alle donne di esibirsi in scena. Shakespeare, che visse a cavallo fra il XVI e il XVII secolo, un periodo in cui si stava realizzando il passaggio dalla società medievale al mondo moderno, non poteva essere estraneo al travestitismo: Porzia in “Il mercante di Venezia”, Viola in “La dodicesima notte”, Rosalinda in “Come vi piace”:
Shakespeare applica il travestimento togliendovi ogni significato perverso o comico, facendone la chiave di volta di un lirico universo transessuale. Ma il Bardo inglese scriveva principalmente di donne mascherate da uomini. Lady Macbeth è sostanzialmente un ruolo maschile, ed è probabilmente, secondo molti critici, un errore affidarne l’interpretazione a una donna.
ultra violet e marchel duchampFrancesca Alfano Miglietti
A coniare il termine “travestito” per definire l’uomo che ama assumere sembianze femminili con l’aiuto di vestiti e trucco fu per primo il medico tedesco (e omosessuale) Magnus Hirschfeld, a suo tempo definito “Einstein del sesso” per i suoi studi approfonditi nel campo. Hirschfeld aveva osservato che il fenomeno del travestitismo non aveva molto a che fare con l’omosessualità. Anzi: a suo dire era più frequente tra gli eterosessuali.
Eterosessuali come Marcel Duchamp che usa il travestimento non tanto per nascondere quanto per mostrare. Le sue manipolazioni estetiche (‘’ready made”) sono dirette non più semplicemente su un oggetto ma anche su un soggetto: se stesso. Duchamp sceglie il proprio corpo alla stregua di un attaccapanni o di uno scolabottiglie, divenendo così una identità distintiva.
Quando finalmente le attrici hanno fatto la loro comparsa sul proscenio, come mai il fenomeno del travestitismo maschile non è scomparso? E’ l’ambiguità, l’incertezza della effettiva natura fisiologica dell’artista che ci pone in una situazione altamente eccitante. L’ambiguità è un tipico aspetto di ogni travestimento. Ma non basta il travestimento a fare l’artista, non tutti i travestiti hanno ovviamente tendenze artistiche. Che cosa succede in quegli anni a cavallo tra i 60 e i 70, e perché il corpo si fa strumento di sovversione sessuale e di ribellione dei codici sociali dominanti?
Correva l’anno 1959 quando il cinema santifica a livello di massa l’ambiguo e il travestitismo in ‘’A qualcuno piace caldo’’ (1959) due musicisti devono travestirsi da donna per riuscire a sfuggire alle ire di un pericoloso gangster – con la battuta finale “Nessuno è perfetto”. Come dire: il fatto che sei uomo un po’ mi dispiace, ma in fondo è un dettaglio. La trovata era umoristica, ma era anche il segno di un cambiamento culturale in atto.
Dunque, perché limitarsi a desiderare quando si può essere ciò che si vuole, in barba ai codici imposti dal genere di appartenenza? E poi, in fondo, come si domanda l’artista Donna Haraway: “Perché i nostri corpi devono coincidere con la nostra pelle?”
rocky horror picture showA QUALCUNO PIACE CALDOA QUALCUNO PIACE CALDOA QUALCUNO PIACE CALDOlocandina rocky horror picture show
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