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Malcom Pagani per il “Fatto quotidiano”
Avremmo visto un altro disco scritto da Roversi: “A sfondo calcistico, 11 ritratti, uno per ogni ruolo dal portiere al centravanti” e Lucio Dalla – che in difesa non giocava mai – avrebbe poi attaccato come da copione altri territori. Una tournée con Battiato: “Un viaggio che dopo quello con De Gregori gli mancava”, un’opera teatrale su Michelangelo, nuovi spazi e pianeti differenti su cui piantare una bandiera perché “a volte ci rompevamo il cazzo e non sapendo cosa fare, immaginavamo mondi nuovi da esplorare”. Fuori campo, la voce di Marco Alemanno.
LUCIO DALLA PAVAROTTI VALENTINO ROSSI
Tra le linee perfette del cielo sdraiato sull’Etna, i suoi ricordi. La sua versione. Il primo incontro con Lucio sotto i portici. La conoscenza progressiva. Il Dalla curioso che ne ascolta la parabola davanti a un bicchiere di vino: “Lui non bevve, ma versò”. L’assenza che non si può spiegare e che dal pozzo dei ricordi, attinge l’acqua per andare avanti e diventare essenza.
Mario Sesti, inventore della sezione più originale del Festival di Roma, ex direttore di quello di Taormina e occasionale artigiano di notevoli documentari sui misteri gaddiani, ha indagato sulla cognizione del dolore dell’ultimo compagno di Dalla restituendo in Senza Lucio, già presentato tra gli applausi al trentaduesimo Torino Film Festival, la ragione per non intristirsi.
La leggerezza del randagio generoso che divideva l’osso con gli altri bastardi incontrati per la via. Il mecenate che sperimentava. L’attore che con i fratelli Taviani muoveva da sovversivo alla volta della Capitale a bordo di una Fiat 1300: “Mi ci voglio sperdere dentro, alla città”. Lo stesso che a volte, protetto dagli spazi natali di Piazza Maggiore , apriva la sua casa bolognese a Kerry Kennedy e cucinava perché giura Kerry: “Moriva dalla voglia di dividere le cose belle con gli amici”.
Non santino, né vieta riproposizione del Dalla più celebrato, Senza Lucio è un’ora e mezza di riflessione mai pedante sul pirata che sul palco, visto da Fellini, rimandava a suo dire “un’immagine salgariana”. A metà Anni 80, con l’irresistibile desiderio di affrontare il mare metropolitano a sole già tramontato, il regista romagnolo incontrava il corsaro emiliano di notte.
Andava in veste clandestina ai suoi concerti, lo scorgeva elettrico al centro del palco e osservava le fiamme, l’elettricità, la casuale rotta degli eventi che di Lucio avevano fatto mito isterico per tutte le ragazze bionde che non diversamente da Eleonora Giorgi in Borotalco, smaniavano per incontrare un brutto che aveva fatto dimenticare l’aspetto esteriore per volare altrove.
Nel film di Sesti prodotto da Erma films e distribuito da Unipol Biografilm e da I wonder pictures, passano Charles Aznavour: “Lo vidi giovanissimo e dissi al mio impresario di bloccarlo” e John Turturro, Paola Pallottino che aveva aiutato Dalla a mettere l’uomo venuto dal mare in musica e parole, Mimmo Paladino e i fratelli Servillo, Toni e Peppe, Renzo Arbore, Gino Castaldo: “Era il Pierrot della canzone italiana”, Ernesto Assante, Stefano Di Battista. Il mitologico impresario Michele Mondella e Piera Degli Esposti.
Ognuno con il proprio Dalla privato. Ognuno con la propria oncia di memoria. Tutti vogliosi di avere “il ragazzo che non si era mai preso sul serio” ancora lì. A farli ridere. A emozionarli. A sorprendersi proprio come lo stesso Lucio sapeva stupirsi di se stesso: “Mi è andata di culo, da giovane non pensavo nemmeno che avrei fatto il cantante”.
Tra una foto privata alle Isole Tremiti e un soffio di clarinetto, il bambino che esultava con sua madre per le vittoria di Nilla Pizzi a Sanremo: “Neanche avesse trionfato l’Italia ai Mondiali” era rimasto tale trovando la sua melodia negli incontri. Nel subconscio di Dalla, dice Alemanno, era tutto impalpabile: “Temeva la fine dell’incanto e per questo, forse, non si fermava mai. La bulimia artistica di Lucio era un riflesso dell’irrequietezza, non era padrone, in fondo, neanche delle cose che aveva prodotto”.
Da Bolognese: “E i bolognesi sono dei bonari figli di puttana” gli ricordò Giorgio Bocca al termine di una memorabile conversazione notturna uscita su L’Espresso, Lucio si aggirava senza ascendenza solide nella sua riserva e non di rado usciva per procacciarsi l’ispirazione in lande meno protette.
“La musica mi sta stretta, devo divertirmi a fare cose che non so fare”. Era curiosità, certo. Ed era scherzo, ironia, sdrammatizzazione. Più tentava: “di essere il meno autobiografico possibile”, più gli altri si sforzavano di trovare nelle madri disfatte “dai capelli di latta” rette, luoghi e arcani della sua costellazione. Capitava di aggirarsi per il Parco della Luna e di commuoversi per il Tango di un bambino, di sfiorare i pregiudizi in Corso Buenos Aires : “Deve essere uno slavo che dorme e ruba alla stazione / ha gli occhi senza luce / è senz’altro un mascalzone” e di demolire la musica andina un decennio prima di Vecchioni. Capitava di anticipare. Di essere eretici.
Di vedere invecchiare le proprie intuizioni e di sapersene spogliare. Mettersi in discussione. Superando dal principio la soglia della diffidenza collettiva che sua madre: “Convinta di aver partorito un genio”, buttò in faccia agli esaminatori della psiche che chini sul figlio, nella Bologna del dopoguerra, avevano abbattuto le sue convinzioni: “Signora, ci dispiace essere brutali, ma il suo Lucio è un perfetto idiota”.
A smentirli, provvide in fretta Dalla stesso senza neanche accorgersi, nota Alemanno: “Di non avere un padre”. In Senza Lucio pulsa il Dalla di ieri e quello meno indagato. Il Lucio che ama la Puglia e il silenzio. Il Lucio che “depresso non era mai stato”, ma dal successo e dai milioni di dischi venduti “era inquietato”. Di questo Dalla e di tutti gli altri che nella sintesi felice Sesti fa sventolare, adesso, in vista del 4 marzo, potranno godere anche quelli che ieri andavano in processione per godere della poesia dal vivo. Senza Lucio approderà al cinema. La luce di Dalla non c’è più, ma in sala, nel buio, non si noterà la differenza.
LUCIO DALLA
LUCIO DALLA E PEPPE SERVILLO
LUCIO DALLA IN UNA FOTO SENZA PARRUCCHINO
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