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Stefania Parmeggiani per “la Repubblica”
«Non riesco a fingere di non avere paura, ma il sentimento predominante è la gratitudine: sono stato un essere senziente su questo splendido pianeta, e questo è stato un privilegio e un’avventura». Il neurologo e scrittore inglese Oliver Sacks ha un cancro allo stadio terminale. Come ha sempre fatto in tutta la sua vita, racconta con franchezza quello che sta accadendo al suo corpo e alla sua mente.
Lo fa con un editoriale pubblicato ieri dal New York Times : «A 81 anni nuoto ancora un miglio al giorno, ma la fortuna è finita, due settimane fa ho scoperto di avere metastasi multiple al fegato». Una conseguenza del melanoma oculare che lo colpì nel 2006 e che lui descrisse nel libro L’occhio della mente , pubblicato in Italia come gli altri da Adelphi.
«Solo in casi molto rari questo tipo di tumore produce metastasi. Io sono in quel 2% di sfortunati a cui accade. Sono grato che mi sia stato concesso di vivere nove anni in buona salute, ma ora mi trovo faccia a faccia con la morte. Il cancro occupa un terzo del mio fegato, e anche se la fine può essere rallentata, questo particolare tipo di cancro non si può fermare. Ora sta a me scegliere come vivere i mesi che mi rimangono». Sacks conosce bene la sofferenza, avendo trascorso gran parte della sua vita a contatto con pazienti definiti incurabili.
Negli anni Sessanta, appena arrivato a New York, fu assunto dalla clinica Beth Abraham, nel Bronx, per trattare alcuni sopravvissuti all’encefalite letargica del 1920. Da quell’esperienza nacque Risvegli , il libro diventato un film con Robin Williams e Robert De Niro. Come gli altri suoi saggi era un testo a metà strada tra pubblicazione scientifica e letteratura biografica. I suoi pazienti erano casi clinici, ma anche il materiale umano di un grande racconto. Quando ha scritto di sé, come nel libro Su una gamba sola , ha applicato lo stesso metodo. Intende farlo anche ora, ultimando la sua biografia e lavorando ad alcuni libri.
hallucinations with oliver sacks
«Mi sento intensamente vivo e spero di utilizzare il tempo che mi rimane per approfondire le mie amicizie, per dire addio a coloro che amo, per scrivere di più, per viaggiare se ne avrò la forza, per raggiungere nuovi livelli di comprensione e intuizione». Per continuare ad essere, come scrisse nell’introduzione al saggio che lo rese famoso – L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello – medico e naturalista, interessato in pari misura all’aspetto romanzesco e a quello scientifico della condizione umana, «non ultima in quella che è la condizione umana per eccellenza, la malattia: gli animali si ammalano, ma solo l’uomo cade radicalmente in preda alla malattia».
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