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Franco Cordelli per il “Corriere della Sera”
Aveva una vita privata, Ronconi? Una vita fuori dal teatro? Ovviamente sì. Ma la vita privata di Ronconi era segreta, più segreta delle altre. Ronconi si muoveva in questa leggenda di riservatezza, geloso di quanto gli accadeva nei giorni in cui non era in scena.
Tra il primo e l’ultimo ci fu tra lui e me un terzo incontro che ieri non ho rammentato. Avvenne a Parigi, preparava Il mercante di Venezia , si dirigeva verso l’Odéon, ci scambiammo poche parole, mi disse che era un affare serio, bello lavorare in Francia, ma in Italia era un’altra cosa. Aveva un’aria allegra e leggermente disperata, come di chi si trovi all’improvviso in una situazione imprevista. Che disperazione era, la sua? Difficile da cogliere, da tradurre.
Ma un uomo che ha prodotto così tanto teatro, che tanto a lungo è vissuto nascosto dietro le quinte di un testo e dietro la maschera dei suoi attori — che un simile uomo non sia mosso da una qualche disperazione è difficile pensarlo. Negli ultimi tempi, da quando era malato, confidava d’esserlo — disperato, e addirittura di non voler più vivere. Pure, a sorreggerlo, e andando contro la sua volontà, almeno quella manifesta, c’era il teatro come rivelazione della vita, e come sua maschera.
A Siracusa nel 2002 ebbi la presunzione di capirne qualcosa, di quest’uomo così nascosto e, in continuazione, così esposto. Erano i tempi di Berlusconi, Bossi e Fini. Ronconi aveva fatto innalzare tre gigantografie degli uomini politici, allora dominanti. Per un puro caso arrivai a Siracusa la sera prima del debutto e un attore mio amico, Warner Bentivegna, mi propose di andare nell’anfiteatro a salutare i colleghi. Andammo, vidi le tre foto e corsi a telefonare al giornale. Il giorno dopo uscì l’articolo con la ghiotta notizia. A Siracusa scoppiò uno scandalo.
Nel pomeriggio mi avviai verso l’anfiteatro e, nascosto dietro un albero, ascoltai la meravigliosa disputa tra Ronconi e i suoi tecnici: togliere o non togliere quelle immagini? Ma anche in quell’occasione, Ronconi più che parlare si limitò ad ascoltare. Tutti sanno, invece, di quanto egli con gli attori sia stato esigente oltre l’umano, fino a sfiancarli, a ottenere da loro, al millimetro, proprio ciò che voleva.
luca ronconi con mariangela melato
Edoardo Siravo, allora alle prime armi, testimonia che le attrici dell’ Aminta , Delia Boccardo, Sandra Toffolatti, Gabriella Zamparini, se ne stavano chiuse nei loro camerini, impaurite per cosa il maestro avrebbe detto. Ma era un maestro che nel Re Lear non esitò a mandare in scena il giovanissimo Kim Rossi Stuart e per il quale le urla delle ragazzine erano un’obliqua gioia. Peraltro egli entrò nei camerini della Celestina e proclamò che le ragioni dell’elogio attribuito a una giovane attrice e non già alla protagonista Maria Paiato erano subdole, non pertinenti.
Non possiamo dimenticare ( Nella gabbia a Perugia) gli attori costretti con una punta di sottile sadismo ad arrampicarsi sulle guglie dei mobili là disposti; o le attrici che recitarono tra i calcinacci cadenti della scena in Tragedia del vendicatore ; o Marisa Fabbri sprofondata in un pozzo nell’Orestea a Spoleto; o Edmonda Aldini e Franca Nuti (protagoniste di Ignorabimus ) che, uscendo alle tre di notte dal Fabbricone si cibarono per un mese di patatine, cioè digiunarono; o gli stessi spettatori che in Amore allo specchio a Ferrara rischiavano di scivolare sui vetri posti, oltre che in scena, su strada (per dispetto traversai la scena bevendo una Coca-Cola, rientrando dopo una uscita spavalda); e Albertazzi e Proclemer di nuovo insieme, non più giovani, inchiodati sulle poltrone nel suo Léautaud romano…
E poi: come interveniva durante le conferenze stampa Ronconi? Taceva: e cominciava a parlare sibilando, raschiando, deglutendo, incespicando. Infine usciva la parola — la parola del maestro, la parola magica. Era quella con cui ha formato i giovani alla scuola del Piccolo.
Di questa parte del suo lavoro era fiero. Ai suoi allievi Ronconi insegnava così: interpretava il testo da mettere in scena ripetendo e di nuovo ripetendo come si dovesse impostare la voce per quella specifica frase. Non c’ero. Lo immagino. Non riesco invece a immaginare a cosa si riferisse negli ultimi tempi, prima dell’ultimo spettacolo, quando ribadiva: non sono pronto, non sono pronto.
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