VAURO! - FATECI SVIGNETTARE IN PACE! NON SIAMO OPINIONISTI E NON DOBBIAMO FAR RIDERE NESSUNO….

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Vauro Senesi per Il Fatto Quotidiano


Critica della ragion satirica è il nuovo libro di Vauro Senesi. Vi proponiamo un breve stralcio tratto dal capitolo "Del divario teoretico-filologico tra satira e umorismo. Ovvero, qui non si scherza", e a seguire "Dell'aguzza dentatura della satira. Ovvero, animali da parabola (tv)".

 


Intendiamoci bene: la satira non è comicità. Chiaro? La satira non vuole barattare il suo minuto di libertà con l'ora d'aria della comicità. Perché, come è facile osservare guardando per un attimo fuori dalla finestra, in questo paese ci sono troppi comici. Avete guardato? Come le lenticchie, la comicità sguazza, sguazza e si gonfia, e aumenta, e trabocca.

Gli stessi politici, in una sorta di trasformazione kafkiana (non me ne vogliano gli scarafaggi), sono spesso migliori come comici, e i comici diventano politici, con risultati esilaranti. Se penso a Beppe Grillo, mi accorgo di come il confine tra i due campi, che una volta era come la Cortina di Ferro, sia ormai a dir poco elastico. E non sono affatto sicuro che sia un bene. Forse dovrei evitare di parlare di satira, dal momento che è il mestiere con cui campo. Non vorrei fare la fine di quelli che parlano sempre di fica e poi non trombano mai, mentre quelli che trombano non perdono tempo a parlarne.

Io sarei però il trombante - sempre sotto metafora, eh - e vista l'età che ho, cari lettori, cosa volete che vi dica? Che faccio satira senza bisogno di pastigliette blu? Non ridete. La satira non deve per forza far ridere.
La risata può essere un valore aggiunto per la vignetta. O un danno collaterale. È, almeno nel mio caso, un disegno figlio del momento che mira volontariamente alla pancia, e ogni tanto riesce a entrarci dentro, a volte come un pugno nello stomaco. Non è comicità: l'avete mai preso un pugno nello stomaco? Non sono obbligato a far ridere chi guarda una vignetta, specie se è così arrabbiato con il mondo come accade sempre più spesso, ultimamente. Ha ragione di esserlo e non voglio certo sedarlo.

Ma la gente, il popolo, i cittadini, gli elettori, insomma quelli che amano e cercano la satira, hanno capito cos'è successo in questo strapaese nell'ultimo ventennio? Si aspettano una mia vignetta per sfogare il malcontento sul politico di turno, o come pillola per una sorta di terapia dello sghignazzo, che alleggerisca il noioso tran tran quotidiano? Be', allora si sbagliano. Continuiamo a essere delusi, a lamentarci, a essere incazzati (anzi, straincazzati), ma dopo Berlusconi, l'uomo con la bandana, ci siamo meritati Monti, l'uomo col loden.

Dopo uno impresentabile, i poteri forti hanno messo sul seggiolone lassù un altro, più decoroso: basta che non scoreggi ai pranzi di gala, non racconti barzellette sconce e non faccia le corna nelle foto ufficiali. Pare che oggi sia sufficiente, per governare un paese. La satira non deve per forza far ridere. È un linguaggio che ha il pregio dell'essenzialità. Dev'essere un morso! Ahi! E non dev'essere affatto consolatoria: se ti vuoi consolare, guardati un reality. Niente di meglio di una realtà di plastica, per sfuggire a una realtà di merda...

La colpa è di Giorgio Bocca. Un giorno quel grande intellettuale e giornalista se ne uscì con un commento che si tramutò ben presto in luogo comune. Una buona vignetta, disse Bocca, equivale a un editoriale. Quelle parole fecero la fortuna e la sfortuna al tempo stesso degli autori di satira. Perché i direttori dei giornali cominciarono a odiarci, poiché in base all'opinione sopra citata noi piccoli amanuensi della matita e del pennarello, poco inclini ai pistolotti politici, potevamo addirittura aspirare a uno spazio da sempre considerato riserva privata dei direttori stessi.

Nel medesimo tempo, l'averci elevato allo stesso rango degli editorialisti aumentò la richiesta. Non c'era più quotidiano che non esibisse la sua bella vignetta in prima pagina. Un gadget alla moda. Credo che, al saldo, l'editto di Bocca si sia rivelato una trovata infelice. Nell'editoriale o nel corsivo di un contenuto può essere accentuato o sfumato, posto in primo piano o addirittura omesso. L'editoriale è frutto di una mediazione, spesso molto ambigua, tra chi scrive e chi legge, dove l'informazione accoglie altre logiche di appartenenza, o sudditanza.

 

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