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Alberto Mattioli per La Stampa
Aspettando La gazza ladra, alla Scala è andata in scena un’imbarazzante Anna Bolena di Donizetti, senz’altro lo spettacolo peggiore dell’evo Pereira (finora, almeno), che ha brutalmente interrotto la serie positiva di Falstaff, Traviata e Meistersinger. Diceva l’Artusi (Pellegrino, non il cinquecentesco teorico della musica Giovanni Maria) che per fare un pollo arrosto la prima cosa da fare è prendere un pollo. Per fare Bolena, opera che alla Scala ha una storia illustre, complicata e pericolosa, per prima cosa si deve prendere un’Anna. C’era la Netrebko ma, quando è scomparsa, sarebbe stato meglio annullare la produzione. Invece si è diabolicamente perseverato approdando venerdì al disastro.
La compagnia è stata scelta con criteri incomprensibili. Inutile quindi gettare la croce addosso ai cantanti, che hanno fatto quel che hanno potuto, poco in verità, risultando tutti più o meno fuori posto e uno addirittura imbarazzante. La protagonista, Hibla Gerzmava, è un dignitoso soprano lirico che, quanto a carisma, sta a una Bolena alla Scala come il sottoscritto a Brad Pitt. Ma se sul podio c’è Ion Marin che si limita a battere il tempo e scorcia la partitura di circa la metà, come se fossimo ancora alla scure di Gavazzeni (lui aveva la Callas, però), la parte musicale è persa in partenza.
Addirittura assurdo, poi, aver importato dalla provincia francese (Bordeaux, per la precisione) uno spettacolo atroce con scene orrende, costumi raccapriccianti e una regia pretenziosa e insensata di Marie-Louise Bischofberger. In un teatro dove si ciancia un giorno sì e l’altro pure di «italianità», trattare Donizetti da serie C’è imperdonabile. Fiascone finale con fischi e improperi vari.
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