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Studio illegale di Umberto Carteni.
Marco Giusti per Dagospia
A un certo punto della conferenza stampa di "Studio illegale", opera seconda di Umberto Carteni, regista di tanti spot Lavazza, Kinder e del divertente "Diverso da chi", uno dei tre sceneggiatori, Federico Baccomo, autore anche del romanzo omonimo, se ne è uscito, per spiegare la sua ansia rispetto a fare un film, con una storia edificante che riguarda un vecchio western di Henry Hathaway del 1954, "Il prigioniero della miniera". Gran bel film della nostra infanzia con Gary Cooper e Richard Widmark.
Insomma, Baccomo ricordava che suo padre stava in fissa con questo film, che non si trovava né in tv né in dvd. Poi un giorno il western passa su Rai Tre, il padre chiama i figli a vederlo e tutti insieme, delusi, dichiarano che "Il prigioniero della miniera" è una "cagata". Testuale.
Ora, questo western è diretto da un maestro come Henry Hathaway, che ci ha dato almeno due capolavori come "Il bacio della morte" e "Il grinta" (per non parlare de "I lancieri del Bengala" e "Sogno di prigioniero"), è sceneggiato da Frank Fenton, che ha scritto film meravigliosi come "Le catene della colpa" per Jacques Tourneur, "Cavalca vaquero!" per John Farrow e "La magnifica preda" per Otto Preminger.
Non solo. Il copione di "Il prigioniero della miniera" è perfetto, costruisce una di quelle storie ormai superclassiche che è stata ripresa e saccheggiata da decine di altri sceneggiatori. Francamente, ma forse sono un po' antico e troppo cinéphile, mi sono vergognato per quel che ha detto Baccomo, che ha scritto un solo film, questo "Studio illegale", assieme a Alfredo Covelli e al più esperto Francesco Bruni, autore anche di "Scialla", prodotto non dalla Century Fox, ma da Beppe Caschetto assieme a Carlo Macchitella, Publispei e Warner Bros Italia.
Mi sono vergognato perché suo padre aveva perfettamente ragione su quel vecchio western, mentre il film che lui aveva scritto e presentava, probabilmente, non resterà nella mia memoria come è rimasto "Il prigioniero della miniera". E, con tutto il rispetto che ho per Fabio Volo, che trovo uno dei pochi personaggi innovativi del nostro spettacolo anche se qui esagera coi baffetti da avvocato in carriera che viene da Gallarate e i dolcevita bianchi, non riesco a paragonarlo né a Gary Cooper né a Richard Widmark.
E penso che nemmeno lui si veda come un Gary Cooper, anche se il suo boss, il volgarissimo titolare dello studio di avvocati milanesi dove lavora, Ennio Fantastichini, a un certo punto lo esorta così verso la bellissima francese Zoé Félix, che lavora per un altro studio: "Questa me la devi trombare prima dell'inizio delle trattative".
Certo, una battuta così Frank Fenton non la avrebbe mai scritta per la Fox. Peccato però, perché il film, già nel cast ci offre dei buoni recuperi, antiquati almeno quanto Henry Hathaway, visto che la famiglia di Volo è composto da due fantastiche star dello scorso secolo come l'Isa Barzizza già prima donna di Totò e l'Erika Blanc regina dell'horror anni '60, mentre l'industriale farmaceutico che ha deciso di vendere la sua azienda a un losco sceicco è interpretato da Pino Micol, sposato addirittura con Luisella Boni, una delle poche attrici italiane che possa vantarsi di aver recitato per Howard Hawks ("La regina delle piramidi", 1954).
E se Volo, nei panni del giovane avvocato che studia da squalo, ma già soffre l'aria fetida degli studi legali (un suo collega si uccide nella prima scena del film), e Zoé Félix, già star del "Giù al Nord" originale, come la sua collega della controparte, sono una bella e inedita coppia di attori brillanti, sono davvero ottimi anche Nicola Nocella come nuovo partner del giovane avvocato e Marina Rocco come segretaria dello studio.
E' molto buona anche la fotografia di Vladan Radovic, che ha al suo attivo pure "L'ultimo terrestre" di Gipi, che osa fasciare gli esterni a Dubai di una luce rossastra. Ed è notevolissima la scelta di almeno due canzoni, "Woman" di James Brown e, soprattutto, "Dio come ti amo" di Domenico Modugno, usata come motivo portante della scena d'amore dei due protagonisti.
Anzi, l'attacco di "Dio ti amo" mentre Volo toglie le mutande a Zoé Félix è il grande momento stracult di tutto il film. Quello che gli manca, invece, è una costruzione solida di sceneggiatura, chissà perché va un po'da tutte le parti e il vero intreccio della storia non lo segui facilmente, e una regia un po' più interessata a farci capire la narrazione lineare che a cercare immagini a effetto.
"Diverso da chi", primo film di Carteni, mi sembrava più risolto. A questo aggiungiamo che si sente, non poco, il fatto che sia un film ideato e girato nel 2011, un anno e mezzo fa, cioè prima della crisi e del governo Monti, nel pieno dell'Inter di Mourinho, che è citato, ovviamente (ma è come fare oggi un film con battute sulla Roma di Zeman e farlo uscire nel 2015).
Potrà sembrare una sciocchezza, ma questi personaggi, scritti oggi, avrebbero forse dei bisogni diversi e perfino il tipo di gag e di chiusura delle scene sembra un po' antiquato. Non so se gli gioverà , infine, precipitare in un momento particolare della stagione, cioè nel pieno delle guerra fra colossi americani, fra "Django Unchained", "Lincoln", "Les misérables" e "Zero Dark Thirty". Una guerra che ha già frantumato l'interessante ma sfortunato "Pazze di me". Certo, Fabio Volo è decisamente un volto più popolare di Francesco Mandelli, ma il momento sembra purtroppo negativo per le commedie italiane. In sala dal 7 febbraio.
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