gaber fossati

IL SALTO DEL FOSSATI (IVANO) – IL CANTANTE, CHE HA LASCIATO LE SCENE 5 ANNI FA, SARA' SUL PALCO IL 3 MAGGIO PER PARLARE DI GABER: “ATTERRITO DALLA SUA BRAVURA. NON NASCEVA ARISTOCRATICO COME DE ANDRÉ, SI È ANCHE SPORCATO LE MANI - MI RIMPROVERAVA DI ESSERE CRIPTICO, GLI DISSI CHE NON AVREBBE DOVUTO ABBANDONARE LA DISCOGRAFIA” - VIDEO

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Gino Castaldo per la Repubblica

 

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Lo fa di rado, ma l' occasione è preziosa. Ivano Fossati tornerà sul palco per parlare di Giorgio Gaber, del teatro canzone e di molto altro. Ha avuto una carriera ricchissima, molteplice, attraversando mondi e stili diversi, ma da quando ha deciso di ritirarsi dalle scene è diventato un osservatore privilegiato del mondo della canzone, un appassionato visionario che forse con la distanza dal palcoscenico ha guadagnato in lucidità di pensiero.

 

Cosa è stato Gaber per Fossati?

«Da ragazzo lo conoscevo perché aveva una grande popolarità televisiva, faceva la pubblicità, cantava canzoni alte ma anche canzoncine popolari. Ricordo ancora perfettamente la prima volta che lo vidi dal vivo e fu una rivelazione.

 

Era una situazione insolita, un doppio concerto a Genova di Mina e Gaber, doveva essere intorno al 1970, tutti si aspettavano il Gaber della televisione, la Torpedo blu per capirci, e lui invece se ne uscì con il Signor G, come un uomo di teatro, con una pièce spiazzante, meravigliosa. Al pubblico piacque, lasciò un segno indelebile».

 

GABER JANNACCI E DARIO FOGABER JANNACCI E DARIO FO

Qual è il Gaber che le sta più a cuore?

 «Ammetto, sono innamorato della prima parte della sua carriera, quella degli anni Sessanta, quando parte dal basso, fa canzoni meravigliose come Le strade di notte, o Non arrossire, alternandole a cose tremende tipo "ma tu vuliv' a pizza" al festival di Napoli. Si è anche sporcato le mani. Non nasceva aristocratico, come De André che aristocratico lo è stato dal primo minuto.

 

Gaber no: suonava nei locali, nei gruppi di rock' n'roll, aveva inciso Ciao ti dirò, o un altro pezzo assurdo come La risposta al ragazzo della via Gluck. E poi i due corsari con Jannacci, i duetti folgoranti con Mina. Spaziava tra l' alto e il basso in modo armonico.

 

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Poi dal Signor G è partita una storia importante: era diventato un uomo capace di fare Il grigio, d' inventarsi il teatro canzone. Spesso sono rimasto atterrito dalla sua bravura. Credo che ci sia ancora molto da dire e da spiegare su tutto quello che ha fatto Gaber. Ma, lo ripeto, sono molto affezionato a quegli anni».

 

C' è qualcosa in particolare che l' ha influenzata direttamente?

«Sembrerà sorprendente ma da lui ho imparato soprattutto a stare sul palcoscenico. Maestri dell' arte di stare sul palco come Gaber ce ne sono stati pochi e siccome ho avuto la fortuna di vedere molti suoi spettacoli, ho imparato molto. Qualche anno dopo il Signor G ci siamo incontrati, e da allora ci siamo parlati tante volte.

 

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Lui mi rimproverava di essere un po' criptico, mi spingeva a scrivere in modo più chiaro, io a mia volta gli dicevo che non avrebbe dovuto abbandonare la discografia, che di fatto ha ignorato per un lunghissimo periodo, era diffidente, registrava album esclusivamente per il teatro, solo all' ultimo si è deciso a rifare dischi di canzoni, e infatti è stato bello, sono andati benissimo».

 

A proposito di palcoscenico e dischi, cosa succede nel suo splendido ritiro?

«Scrivo qualche canzone soprattutto quando me lo chiedono i giovani. In questi giorni ho sentito Noemi, con cui vorrei lavorare. Mi hanno chiesto musica per uno spettacolo teatrale, ma soprattutto dall' anno scorso faccio laboratori all' università di Genova».

 

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Su cosa?

«Sull' industria musicale, e su come i ragazzi ci si possono inserire. Ci siamo accorti che sentono parlare di musica dalla mattina alla sera, in teoria il settanta per cento dei giovani sognerebbe di lavorare intorno alla musica, ma non sanno come si fa, soprattutto non hanno idea dei possibili mestieri connessi alla musica.

 

Quando per esempio gli ho spiegato che anche nella musica c' è bisogno di avvocati sono rimasti stupiti. Cerco di spiegargli questo. C' erano ragazze che preparavano la laurea in lettere. Mi chiedevano: cosa possiamo fare? Io ho risposto: l' addetto stampa, magari finalmente senza sbagliare i congiuntivi. Insomma per stare nella musica non bisogna per forza cantare».

 

Il suo punto di vista deve essere cambiato ora che osserva il mondo della canzone in modo più appartato, senza essere più al centro del ciclone. Cosa c' è di diverso?

«È vero, non stare in mezzo cambia la prospettiva e anche direi la percezione dell' importanza che ha il nostro lavoro.

 

Capisci che quando sei in mezzo alle cose ti sembra di fare molto, di arrivare a tutti, che tutti sappiano quello che stai facendo, ma quando sei fuori, e magari vivi in provincia, ti accorgi che anche quei messaggi che sembrano emanati con potenza, arrivano poco, la gente ha molto altro a cui pensare. In fin dei conti, anche un artista gigantesco così importante non è. Diciamo che c' è un ridimensionamento. È una lezione durissima da accettare».

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