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Marco Giusti per Dagospia
Cannes. Quinto giorno. Diciamo che è un piccolo film, un’operina, che non c’è un filo di storia, di drammaticità, e quella che c’è è subito trasformata in commedia, che non abbiamo neanche mai guidato un autobus nel New Jersey, ma allora perché Paterson, l’ultimo film di Jim Jarmusch ci piace così tanto da non togliercelo dalla testa? Perché Jarmusch è uno dei pochi poeti rimasti nel mondo del cinema e questo film non è solo un film sulla creazione poetica, ma è anche costruito come una poesia.
E Adam Driver è di una eleganza, di una precisione nel suo ruolo e nel ripetere tutti i giorni le stesse cose che glielo darei subito un premio come miglior attore protagonista. Dopo averci dato il ritratto del disastro di Detroit e della società americana in un film di vampiri, Only Lovers Left Alive, che era un capolavoro e oggi lo sappiamo, dopo averci descritto in chiave zen un killer pazzo per il rap in Ghost Dog, Jim Jarmusch in Paterson ci descrive sia la bellezza anni ’50 di Paterson, cittadina nel New Jersey, dove il mondo sembra essersi fermato, e il mondo poetico di Paterson, che è poi il nome dell’autista di autobus di Paterson, interpretato da Adam Driver.
La sua vita è descritta in sette capitoli, o sette stanze poetiche, da un lunedì mattina al lunedì mattina della settimana dopo. Ogni giorno Paterson ripete le stesse cose con poche varianti, sveglia alle 6:10, qualche effusione con la bella moglie iraniana, Golshiften Farahani, il ritorno a casa, l’uscita serale col cane Marvin, la sosta al bar di Doc, cioè Barry Shabaka Henley.
Le poche varianti sono le diverse poesie che Paterson scrive prima di iniziare a guidare, i dialoghi tra i passeggeri che sente sull’autobus, gli incontri che fa al bar, i dialoghi con la moglie che sta tutto il giorno a casa a colorare di bianco e nero qualsiasi cosa o a preparare dolcetti, sempre in bianco nero, per il mercato del sabato.
All’interno di queste piccole variazioni, Jarmusch ci parla di William Carlos Williams, il poeta preferito di Paterson l’autista e che a Paterson tenne un corso di fisica, di Allen Ginsberg, anche lui nato a Paterson, di Iggy Pop, che nel 1970 venne a cantare a Paterson, di Lou Costello, il cittadino più celebre di Paterson, del giornale anarchico che si pubblica a Paterson con titolo italiano, “La conquista sociale”, che si rifà alla memoria di Gaetano Bresci, che da Paterson partì per cercare di uccidere Umberto I.
jim jarmusch adam driver paterson
Ma la moglie Laura cita pure Petrarca, e non a caso si chiama Laura, e porta il marito a vedere un vecchio horror in bianco e nero di quando il cinema era cinema, The Island of Lost Souls. Il film ha una struttura poetica ben precisa e dentro di questa dobbiamo cercare le piccole variazioni e le rime interne che danno un senso a tutto il racconto. Solo se isoliamo i sette diversi risvegli di Paterson e di Laura a letto abbiamo un quadro ben preciso di quello che ha in mente Jarmusch e del suo tipo di lavoro sul linguaggio che si oppone a qualsiasi omologazione da cinema di oggi in digitale.
Per questo Paterson non usa né computer né cellulare e adora un solo colore, il blu. E su questo costruisce tutta una serie di riferimenti poetici. Magari non c’è più spazio nello nostre sale per un film come Paterson, ma è di gran lunga una delle cose migliori viste a Cannes e in questi ultimi anni al cinema. E dimostra quanto Jim Jarmusch sia rimasto fedele alle sue idee di cinema per tanti anni e quanto questa fedeltà gli stia restituendo una grazia e una freschezza del tutto intatte.
Ricordiamo solo che le poesie sono scritte da un vero poeta, Ron Padgett e che la fotografia è di Frederick Elmes, responsabile anche dell’indimenticabile Blue Velvet. Ovvio che sia un film che non si può non amare.
Niente male neanche Caini, cioè “Cani”, visto a Un Certain Regard, opera prima di un giovane regista rumeno, Bogdan Mirica, complesso, oscuro thriller iperviolento tutto ambientato in una specie di deserto rumeno popolato da villici armati fino ai denti e davvero cattivi. Il film inizia con un ricercatissimo movimento di macchina su uno stagno, dal fondo del quale all’improvviso appare un piede umano.
Ma è solo l’inizio. Sappiamo così che non sarà facile soggiornare lì per un giovane di Bucarest, Roman, interpretato da Dragos Bucur, che ha ereditato un terreno enorme totalmente brullo e una casetta di campagna con un vecchio cane che si chiama Polizia. Non sarà facile perché il nonno di Roman era il boss del posto, e i suoi fedeli non vogliono assolutamente che il nipote metta il naso nei loro affari o che venda il terreno. C’è uno sceriffo locale, Hogas, interpretato da Gheroghe Visu, e c’è il nuovo boss di una gang di criminali della zona, Samir, interpretato da uno spaventoso Vlad Ivanov, degno dei cattivi di 007.
Così la vacanza di Roman si trasforma giorno dopo giorno in un horror, con improvvise visite notturne di sconosciuti, terrori di ogni tipo. Lo sceriffo si ritrova a indagare sul piede umano senza riuscire a ottenere niente dalla gente del posto. E presto scompare anche un amico di Roman che lo doveva aiutare a vendere il terreno. Il finale, violentissimo, dimostra che Bogdan Mirica è un nome da tenere d’occhio.
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