ANCHE GLI SHERPA NEL LORO PICCOLO S’INCAZZANO: VOLANO CEFFONI SUL TETTO DEL MONDO

Vai all'articolo precedente Vai all'articolo precedente
guarda la fotogallery

Elisabetta Reguitti per il "Fatto quotidiano"

Anche gli sherpa a volte s'incazzano. Sono volati schiaffi sul tetto del mondo e a farne le spese sono stati l'alpinista bergamasco Simone Moro, lo svizzero Ueli Steck e il britannico Jonathan Griffith che, nella loro versione dei fatti, assicurano di non aver in alcun modo intralciato il lavoro del gruppo di sherpa intento a fissare corde alla parete dell'Everest per l'ascesa.

Di parere opposto il capo delle guide nepalesi che, come gesto finale di sfida ha dato ordine ai suoi 17 uomini di tornare al campo 2 anziché proseguire la salita. Le tensioni sarebbero dunque sorte durante il lavoro di fissaggio delle corde su una parete lato ovest del Lhotse a circa 7.200 metri di altitudine. Una volta rientrati al campo base i tre sarebbero stati aggrediti dai compagni degli sherpa in rivolta.

A 60 anni dalla prima scalata sulla mitica montagna (29 maggio 1953 ad opera di Sir Edmund Hillary e il suo sherpa Tenzing Norgay) ci si azzuffa durante un'attività sportiva che nel tempo è radicalmente cambiata. Forse non sempre in meglio a giudicare dal fatto che quel luogo un tempo inesplorato, oggi è diventato la discarica più alta del pianeta.

Gli abitanti si erano già incavolati per le oltre 50 tonnellate di rifiuti tra materiali avanzati nello smontare tende, bombole di ossigeno vuote, bottigliette di plastica e pezzi di alluminio abbandonati. Le costose spedizioni commerciali, che da un lato portano soldi, hanno però inevitabilmente modificato le abitudini di vita, di lavoro e forse anche aspetti del carattere solitamente pacifico delle popolazioni autoctone travolte dal business più che dalla sportività. La polizia nepalese intanto indaga sulla vicenda dell'aggressione ai tre alpinisti.

Il collega-alpinista Silvio Mondinelli non si stupisce per quanto è accaduto e che in questo caso ha fatto il giro del mondo anche se episodi simili spesso passano sotto silenzio. Il rapporto con gli sherpa che portano i bidoni con le attrezzature necessarie è ambivalente e a quelle altezze è necessario mantenere la calma. Lui intanto è ancora alle prese con il ricordo dell'ultima terribile esperienza: essere sopravvissuto alla valanga sul Manaslu (8.163 metri) mentre intorno a lui sono morte tredici persone lo scorso 23 settembre.

"Da quando sono tornato a casa sogno la valanga ogni notte. Il ricordo di quei corpi distesi uno accanto all'altro rimane indelebile". Mondinelli detto "Gnaro" fa alpinismo dal 1978 ed è tra i pochi uomini al mondo ad aver scalato tutti i 14 ottomila senza ossigeno. A Namche Bazar, la sua Onlus "Amici del Monte Rosa" ha costruito una scuola inaugurata nel 2000 oltre a un reparto di un ospedale. A chi gli chiede che senso abbia praticare uno sport tanto pericoloso risponde che "l'alpinismo fa parte della natura dell'uomo".

Walter Bonatti alla stessa domanda rispose: " È la mia vita". Per Mondinelli scalare significa non sfidare mai la sorte e sapersi fermare. Quando il ghiaccio congela le dita di mani e piedi o quando la testa non riesce a reggere il peso della salita serve più coraggio a fermarsi che proseguire. Stare in alta quota non è per tutti.

 

SHERPA SHERPA SHERPA LALPINISTA SIMONE MORO LALPINISTA SIMONE MORO LALPINISTA SIMONE MORO SHERPA SHERPA