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Maurizio Molinari per "La Stampa"
La fusione delle piattaforme a Bloomberg, le stazioni tv dell'«Abc» vendute per rafforzare «The Politico», il «Boston Globe» liquidato e il «Washington Post» svenduto: in nove giorni l'editoria americana ha subito una raffica di choc che evidenziano la staffetta fra vecchi e nuovi media, trasformando etere e carta in contenitori di pubblicità residuale destinata a finanziare l'informazione digitale.
La prima scossa arriva il 28 luglio quando il Bloomberg Media Group, la corazzata dell'informazione finanziaria, decide di affidare ad un unico ceo la guida dei servizi tv, radio, magazine, digitale ed eventi pubblici. La scelta cade su Justin Smith, presidente di Atlantic Media, ma ciò che più conta sono le mansioni affidategli perché indicano la piena integrazione fra tutte le piattaforme: cade ogni barriera nella gestione perché ciò che più contano sono i contenuti, non i vettori di trasmissione.
Neanche 24 ore dopo la famiglia Allbritton si libera di sette importanti stazioni tv della catena «Abc» - incluso il popolare canale Abc7 di Washington - vendendole al Sinclair Broadcast Group di Baltimore per 1 miliardo di dollari. Le tv in genere significano spot, pubblicità a facili introiti ma Robert Allbritton, ceo di Allbritton Communications, non lo ritiene più veritiero e preferisce investire nel business aziendale che porta maggiori introiti al gruppo: il sito web «The Politico».
«Viviamo nell'età dell'oro delle innovazioni portate dai nuovi media e intendo cavalcarla» dice Robert Allbritton spiegando che «The Politico continua a fare profitti» mentre gli share delle stazioni «Abc» vendute perdevano continuamente spettatori rispetto alla «Nbc» da 202 settimane. Dunque, vendere le tv significa poter investire di più nel sito di informazione politica più apprezzato del momento.
Il 3 agosto è il turno del «Boston Globe» ad evidenziare la debolezza dei vecchi mezzi in informazione: nel 1993 il «New York Times» lo aveva acquistato per 1,1 miliardi di dollari considerandolo un gioiello del mercato ma adesso lo svende per appena 70 milioni a John Henry, proprietario della squadra di baseball dei Red Sox, specificando che «li ha versati liquidi» e ciò fa molto comodo, viste le difficoltà finanziarie in cui versa lo stesso quotidiano diretto da Jill Abramson.
Il passaggio di mano del «Washington Post», il 5 agosto, si trasforma nella conferma lampante della tendenza nazionale: il quotidiano che firmò il Watergate obbligando Richard Nixon a dimettersi, nel 2003 valeva 2 miliardi dollari ma adesso il proprietario di Amazon lo rileva versando appena 250 milioni. Anche in questo caso liquidi, visto che al venditore fanno molto comodo per fronteggiare un bilancio-colabrodo. à il primo grande giornale che finisce nelle mani di uno dei protagonisti dell'Information Technology, e potrebbe non essere l'ultimo.
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