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In Italia ci sono più case editrici che lettori, più scrittori che lettori e presto ci saranno più fiere e festival del libro che lettori. Pensate a un festival del Dixan in un paese senza lavatrici oppure alla sagra del girarrosto in uno stato di vegani: ebbene, per il libro, in Italia, siamo messi così, ma tutti si scannano per organizzare rassegne.
Oggi, infatti, l’Aie (Associazione italiana editori) ha annunciato che, d’accordo con Fiera di Milano, organizzerà la prossima primavera un Salone del Libro alternativo al Salone del Libro di Torino. Bene, è la concorrenza, bellezza!
Peccato che in Italia solo il 45% della popolazione legga un libro (uno) all’anno, che si stampino, però, circa 60mila nuovi titoli all’anno (nuovi, escluse “Divina Commedia”, Pirandello e Co.), che ci siano quasi 2000 case editrici (molte amatoriali), meno librerie (ormai poco più di un migliaio), le tirature siano bassissime, i libri mai tradotti e che solo una parte minoritaria di essi vada in libreria, ci stia un mesetto sotto la mensola a far polvere e poi torni quatta quatta all’editore (i librai godono del diritto di resa).
Qui, tempo dopo, il volume viene venduto ai remainder’s al 5% del prezzo di copertina o messo al macero. Fine della storia: la discarica. Il mercato dell’ebook, poi, è ridicolo; nelle classi scolastiche non si legge più, merito dell’allarme sociale che si genera nelle menti deboli dei genitori che avversano le scuole dove non dominano le tre I (internet, inglese, imbecillità), merito del sottosegretario Faraone per il quale il telefonino “va tenuto acceso a lezione” e dei corsi in inglese in università, con buona pace dell’italiano, ex lingua diplomatica nel Seicento ed ex lingua colta nel Settecento.
Nonostante questo scenario post-apocalittico ci si contende festival e rassegne di libri per mero medaglificio personale dei proponenti: organizzare un festival è molto chic, specie se i soldi li mette una banca.
I festival, si sa, sono dominati da due aspetti: autoreferenzialità e conformismo: stessi autori, sempre le stesse banalità. Proliferano in ogni città richiesti da assessori ed enti per il turismo, sono persino più dei premi letterari (e sempre più dei lettori), frequentatissime da giovinette in fregola per sentirsi colte (scopare, no?). Intere classi di alunni vengono di volta in volta deportate ai festival, un po’ come si faceva ai bei tempi con le colonie estive.
Al Salone di Torino c’erano l’anno scorso intere classi che passavano il tempo guardando il telefonino (Pokemon go? Go go) finché non è apparsa la guest star: Sartre? Camus? No, Checco Zalone. Complimenti, per un salone nato nella città dell’Einaudi che, per altro, ha dominato il pensiero unico impedendo agli altri di crescere. Da noi, essere antiberlusconiano e a favore degli immigrati continuano ad essere i due requisiti sufficienti per far parte della classe scrittoria: grammatica e idee sono optional.
Nonostante tutto questo, nessuno molla nemmeno un festival del romanzo per non vedenti, nessuno: gestire festival e premi vuol dire potere, sentirsi in. E, qualche volta, vuol dire finire anche galera, com’è il caso di Soria per il Grinzane Cavour (o sotto inchiesta, vedi Salone di Torino).
La casta culturale è talvolta peggio della casta dei politici che denuncia attraverso i libri e i giornali che pubblica. Costituita da gente che spesso legge poco, ignorante di storia dell’arte, ha come principale obiettivo una particolare coniugazione dell’heidegerriano Esser-ci: ci sono se ho un festival o ci partecipo.
E così, ora, nasce anche quello dell’Aie a Milano. Ma per diamine, qui c’è già Book-city da cinque anni tuona l’ex presidente della Rizzoli confluita ora in Mondazzoli (ormai non devono nemmeno fingere di contendersi il Premio Strega tra loro). Ci si fonde? Manco per idea, sono cose diverse.
E a Torino? Ci si fonde con Torino tipo Mito? Ma va là! Non la passeranno liscia quei polentoni ambrosiani, strillano i gianduiotti: dall’anno prossimo schieriamo le idee di Massimo Gramellini (Buongiorno, buonasera) e abbiamo il sostegno della “Stampa”. Peccato che, nel frattempo, i fuggiaschi Agnelli abbiano consegnato il giornale al suo destino di testata locale nell’ambito della galassia “Repubblica”, per altro di proprietà dell’editore (vien da ridere) svizzero De Benedetti per ora condannato per i morti di amianto.
checco zalone salone del libro
Milano risponderà a Gramellini con Fazio? Con Armani? E Higuain? Non lo mettiamo Higuain a una Fiera del libro aperta anche al fumetto con madrina una bonazza che scrive romanzi sulle sfumature dello scudiscio? Pensate a quanti verrebbero con il telefonino a farsi i selfie. Sarebbe come andare sulla passerella di Christo senza aver mai messo piede in un museo. Evviva.
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