"CHIESI A DELL'UTRI SE FOSSE PREOCCUPATO PER IL PROCESSO?' MI RISPOSE: 'HO UN CERTO TIMORE E NON……
Simona Antonucci per “il Messaggero”
«La mia Mimì non è un personaggio postumo. È una ragazza degli anni Sessanta che vuole vivere, amoreggiare, divertirsi. Certo, alla fine muore, ma non c'è bisogno di rappresentarla sin dall'inizio come una vittima. La mia è una visione vitale e quindi tanto più tragica. Più forte, se eviti di mostrarla sin dall'inizio come una vittima».
Mario Martone, dopo Barbiere di Siviglia e Traviata, realizza il suo terzo film-opera, nuova coproduzione di Rai Cultura e Teatro dell'Opera di Roma. Ultima tappa delprogetto cinematografico nato durante la pandemia, La bohème di Puccini, diretta da Michele Mariotti, viene proposta da Rai Cultura, in prima visione venerdì alle 21.20 su Rai3, con un'introduzione di Corrado Augias.
Della trilogia è il primo ambientato fuori casa: cineprese, cantanti, orchestra e direttore, sono stati in trasferta nei laboratori del lirico romano, in via dei Cerchi. Interpreti di un film nel film di sapore godardiano, dove entrano in campo, non soltanto gli sciagurati eroi del capolavoro pucciniano, «ma anche le macchine da presa», spiega Martone, «e i luoghi dove si lavora per fare teatro. Il caffè Momus in falegnameria mi diverte tantissimo. Potremmo inaugurare una catena di ristoranti nelle botteghe artigiane».
I primi due film opera vennero definiti dal regista napoletano, 62 anni, progetti «al limite dell'incoscienza». «Questo, ancora peggio. Perché nella follia, siamo ostinati. Per Barbiere e Traviata eravamo comunque in un teatro. Qui no. Abbiamo girato tutto, in presa diretta, tra attrezzi, costumi d'epoca, pennelli, martelli.
Mentre l'orchestra suonava nel salone delle scenografie, Mimì e Rodolfo, Musetta e Marcello cantavano su è giù in un palazzo trasformato in set». Un'acrobazia registica che regala agli spettatori più piani di lettura: la storia e il work in progress delle riprese, per una pellicola pensata in bianco e nero, e poi a colori, con una pasta d'epoca di gusto anni Sessanta.
«Gli spettatori si accorgeranno che di tanto in tanto, lo sguardo dei cantanti finisce fuori campo, in cerca di un qualche punto. Seguono il maestro, in una rete fitta di monitor che garantisce il contatto, anche a distanza. Ecco, io amo quei piccoli sguardi perché svelano l'essenza del film. Un qualcosa di folle».
Si vedranno il Circo Massimo imbiancato di neve, i vicoli di Trastevere, ma anche Parigi. «Non è importante il luogo. Siamo negli anni Sessanta, in un altro tempo bohémien, in un clima pre 68, con quella giovinezza ribelle che poi è confluita nei film della Nouvelle Vague. Perché l'amore, la giovinezza, la ribellione, sono i temi di Bohème».
Con una Mimì tutto meno che moribonda. «Il mio modo rileggere le figure femminili che metto in scena. Tutte le eroine del melodramma nascono in tempi in cui posizioni poco consone alla morale comune erano scomode da digerire. E quindi venivano trasformate in vittime sacrificali. Secondo me è venuto il tempo di guardare a queste donne con tutta un'altra carica».
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