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Daisy Jones per “Dazed Digital”
Jacqui Potato balla ininterrottamente da 48 ore. La musica si è spenta diverse ore fa ma lei non si è fermata. Dice il performer Scottee:«Da qui posso letteralmente sentire il profumo della droga». Si è esibito al “NYC Downlow”, un set che riproduce gli anni d’oro newyorkesi della “homo disco”, situato al Block9, il club fra gli alberi del Festival di Glastonbury. La situazione è post-apocalittica, come se nel 1989 fosse caduta una bomba e tutto fosse andato in macerie, tranne il locale gay.
Il posto fu creato nel 2007 perché a Glasto mancava uno spazio alternativo per LGBT. Comparato al “Burning Man” americano, c’era zero presenza gay, nonostante fosse il miglior festival di musica in Europa. Così è nato il “Block9”, diviso in tre parti: “Genosys” è l’imponente struttura all’aperto, in cemento e specchi, che manda musica elettronica, “The London Underground“ è il sinistro edificio di cinque piani che ospita il meglio del “sound system” londinese underground, mentre il “NYC Downlow” è la zona-madre, un hotel vintage diroccato che avanza a suon di soul, funk, gospel e vecchia acid house, con 60 performer, drag queen e star del cabaret. Il complesso è una specie di illustrazione tridimensionale, un futuro distopico dove tutti hanno parrucca, calze a rete e baffi. Qui Mick Jagger una volta ha fatto un dj set a sorpresa, e si dice che nel backstage le bibite vengano allungate con MDMA.
trans a nyc downlow
trans di glasto
Il luogo è l’espressione più vera della cultura gay. Da quando i diritti dei gay progrediscono, quel senso di alienazione che produce arte è scomparso. Più la società integra i gay (è cosa buona e giusta), più i gay si normalizzano e si omologano. Qui invece si reagisce a questa assimilazione e si esalta il caos della diversità.
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