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Giuseppe Pollicelli per “Libero Quotidiano”
Se un cruccio può turbare gli estimatori di Benito Jacovitti è che il fumettista molisano, pur essendo stato un artista di livello assoluto, sia conosciuto esclusivamente in Italia (e comunque non abbastanza, specie dalle giovani generazioni), mentre fuori dai nostri confini il suo nome non dice nulla quasi a nessuno. È un destino che Jacovitti, nato a Termoli nel 1923 e morto a Roma nel 1997, condivide con diverse altre personalità geniali espresse dall’Italia, da Leopardi a Totò passando - per tornare ai fumetti - per Andrea Pazienza, e che dipende soprattutto da un fattore: la lingua.
Per quanto riguarda Jacovitti, i calembour, i giochi di parole e la visualizzazione delle metafore che affollano le sue tavole e le sue vignette sono ardui (talvolta impossibili) da tradurre in modo soddisfacente, e così il creatore di Cocco Bill e Zorry Kid sembra destinato a rimanere per sempre un fenomeno solo italiano. C’è tuttavia un segmento della produzione di Jac che, se proposto e promozionato in modo opportuno, potrebbe fare breccia anche all’estero.
Si tratta dei lavori che Lisca di Pesce (soprannome risalente agli anni giovanili, quando il fumettista, oltre che alto, era anche molto magro) ha dedicato al sesso. Buona parte di ciò che Jacovitti, durante la sua prolificissima carriera, ha sfornato in tema di erotismo è stato da poco raccolto in un prezioso libro cartonato dal titolo Jacovitti proibito. Kamasultra (Nicola Pesce, pp. 160, euro 19,90), ed è proprio con un tomo di questo genere che si potrebbe provare a esplorare qualche mercato straniero.
L’universalità della materia trattata e dei doppi sensi (verbali ma soprattutto visivi) che essa genera dovrebbero infatti rendere il volume fruibile anche per coloro che non conoscono l’italiano. Del resto il Kamasultra, parodia dell’antico testo indiano Kamasutra scritta dall’umorista Marcello Marchesi e illustrata da Jacovitti nel 1977 (per complessivi quattro fascicoli editi dall’effimera sigla Maga Publicitas), ha già avuto un’edizione francese nel 1983, il che la rende una delle non molte opere jacovittiane gratificate da una traduzione. Perché non ritentare l’esperimento?
Tanto più che questa nuova versione, oltre a ripresentare tutte le illustrazioni che a suo tempo - assenti dall’edizione italiana - erano state inserite in quella transalpina, include numerosi disegni inediti e tutte le splendide tavole panoramiche realizzate da Jac nei primi anni Ottanta per la rivista Playmen.
Tavole dai contenuti particolarmente spinti, che dimostrano come Jacovitti avesse innumerevoli frecce al proprio arco oltre a quella di autore per ragazzi (cosa d’altronde rilevabile, sebbene in nuce, già ai tempi del lungo rapporto con l’editoria cattolica, interrottosi proprio in seguito allo scandalo suscitato dalla collaborazione con Playmen). In quegli anni Jacovitti è nel pieno della maturità stilistica e ha una tale padronanza dei suoi mezzi da disegnare spesso direttamente con il pennino, senza la matita.
Il suo universo grafico è perfettamente compiuto e coerente e - tra salami, ossa e pesci sparsi qua e là, e personaggi impegnati in contorsionismi incredibili - Jac si concede davvero un virtuosismo dietro l’altro. Quello che soprattutto impressiona delle tavole per Playmen, a rileggerle oggi, è - a parte il già citato splendore dei disegni - il carattere estremo delle situazioni mostrate e la loro assoluta scorrettezza politica, inconcepibile per i nostri tempi conformisti (si ironizza perfino sulla pedofilia).
Come ricorda Gianni Brunoro nella sua ampia introduzione, Jacovitti dichiarò in un’intervista: «Nelle mie vignette ho voluto fare l’antierotismo. (…) Il mio erotismo non suscita basse eccitazioni, io odio le oscenità».
E in effetti nel sesso grottesco tratteggiato da Jac non si ravvisano mai né gioia né piacere. I personaggi, specie quelli maschili, sembrano anzi dedicarsi all’atto sessuale con sofferenza, come per una costrizione anziché per libera scelta. Tra bizzarrie assortite e mostruosità fisiche, essi consumano accoppiamenti coatti che assomigliano molto a un contrappasso infernale, quasi fossero i dannati di una bolgia. E così, inatteso, nasce il rammarico che Jacovitti non si sia mai cimentato con l’Inferno di Dante.
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