DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Fabrizio Accatino per “la Stampa”
«L'erogazione dei fondi è stata assolutamente unilaterale. Si finanziavano film che fossero coerenti con una certa narrazione culturale della società italiana, della nazione e del mondo. Non voglio sostituire a un'egemonia di sinistra un'egemonia di destra, voglio aggiungere».
La ricostruzione del neoministro Sangiuliano del cinema come macchina di propaganda della sinistra ha suscitato parecchie perplessità tra i professionisti del settore. Tra di loro anche Giancarlo Leone, uno dei capitani di lungo corso della produzione italiana. Lo storico fondatore di Rai Cinema e 01 Distribution oggi è presidente dell'Apa, l'Associazione dei Produttori Audiovisivi, nonché membro del consiglio superiore del cinema e dell'audiovisivo, organo consultivo del ministero della cultura. Leone sa bene che i sostegni ai film non hanno colore politico.
«È da vent' anni che il modello cinematografico non si riconosce più nello schema sinistra/destra, visto che tra l'altro è diventato difficile persino capire cos' è l'una e cos' è l'altra. Nel tempo i ministri della cultura, di partiti diversi come Bonisoli e Franceschini, sono stati concordi nel puntare su una democratizzazione dei finanziamenti. Oggi i meccanismi di sostegno statale a un film sono totalmente apolitici».
L'egemonia culturale della sinistra un mito da sfatare?
«Una volta in effetti era così, non per una volontà politica ma perché la gran parte degli operatori si riconosceva naturalmente in quei valori. Non ci sono però mai stati finanziamenti mirati. E con l'avvento del tax credit è cambiato tutto».
Perché?
«Perché non si tratta di un finanziamento diretto, ma della possibilità offerta a tutte le produzioni di usufruire di un credito d'imposta. Significa che per quel film nelle casse dell'erario entreranno meno soldi, per una percentuale del 30-40% del budget complessivo. Si tratta di un elemento di partecipazione aperto e democratico».
Cosa risponde a chi obietta che questo è assistenzialismo di Stato?
«Che il ragionamento non sta in piedi. È vero, con il tax credit c'è un minore gettito fiscale, però quel credito d'imposta genera lavoro e acquisti di beni e servizi, a loro volta tassati. La ricaduta fiscale per lo Stato è calcolata intorno al 250% della somma a cui aveva rinunciato. Quello che non entra in un cassetto, entra più che raddoppiato nell'altro».
Quindi suggerisce al nuovo governo di confermarlo?
«Non solo, di potenziarlo. Oggi lo Stato mette a disposizione 200 milioni di euro per l'audiovisivo e 200 per il cinema, che sono tanti ma ancora insufficienti. Le soglie d'accesso andrebbero migliorate, con una maggiore selezione operata a monte, individuando i film su cui puntare. Meno titoli ma finanziati di più. Perché, non dimentichiamolo, negli ultimi anni i budget dei film italiani sono molto calati e questo non contribuisce a renderci competitivi sul mercato internazionale».
Il cinema italiano è in crisi?
«Se ne parlava già negli anni Sessanta, solo che allora in Italia si vendevano 700 milioni di biglietti, oggi 50. Il cinema in generale è in difficoltà in tutto il mondo: il pubblico è diventato più esigente, i canali distributivi sono cresciuti, la serialità televisiva ha in parte sostituito i film. Credo però che il nostro cinema non abbia nulla da invidiare a quello degli altri Paesi, dobbiamo solo venderci meglio, saper costruire eventi intorno ai nostri titoli».
Il botteghino di inizio stagione la rende ottimista?
«Conforta vedere in cima alla classifica un film come La stranezza, che è sì una commedia ma non della tipologia che purtroppo negli ultimi anni ha reso poco identitario il nostro cinema. E poi Il colibrì, Siccità, Dante. Da tempo non capitava un'infilata di titoli italiani così di successo. Lo ritengo un segnale molto importante, da non sottovalutare. Non so se sia la fine della crisi, dobbiamo però essere onesti e ammettere che qualcosa sta succedendo». .
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