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DAGOREPORT – GIORGIA MELONI, FORSE PER LA PRIMA VOLTA DA QUANDO È A PALAZZO CHIGI, È FINITA IN UN…
"LEOSINERS" PREPARATEVI, FRANCA STA TORNANDO - NUOVO PROGRAMMA IN ARRIVO PER LA LEOSINI: "RACCONTO IL 'DOPO' DI QUELLI CHE HANNO SCONTATO LA LORO PENA. COL COVID STO A CASA A STUDIARE. PER IL CASO DI AVETRANA MI CONSEGNARONO 10.000 PAGINE DI ATTI GIUDIZIARI" - "IL MONDO DEL CRIMINE MI ATTIRA DA SEMPRE. SE NON AVESSI FATTO LA GIORNALISTA, SAREI STATA UN MAGISTRATO" - "L'INTERVISTA A SCIASCIA MI HA CAMBIATO LA VITA. HO AVUTO PAURA SOLO QUELLA VOLTA CHE IL 'CACCIATORE DI ANORESSICHE'..."
Simona Sparaco per "Specchio – La Stampa"
Che fine ha fatto Franca Leosini? Parafrasando il titolo del suo nuovo programma, ho la fortuna di poterlo chiedere direttamente a lei. Voglio sapere come ha trascorso questa storia maledetta che stiamo vivendo e per l'occasione installo anche un'app sul cellulare che mi permetterà di registrare la nostra telefonata, così da poter restituire alla carta la giusta intonazione di tutte le memorabili frasi che vorrà regalarmi, e che, per gli appassionati del genere, o leosiners (è così che si chiamano in rete i suoi fan), sono ormai una pietra miliare.
Cara Franca, il virus come ha cambiato la tua vita?
«Mi ha colto alla sprovvista, come tutti. Io però ho la fortuna di lavorare molto da casa. Per ogni puntata di un mio programma ci vogliono mesi di studio, per la disperazione di chi ne vorrebbe avere molte di più da mandare in onda. Ricordo che per il caso di Avetrana l'avvocato Coppi mi consegnò 10.000 pagine di atti giudiziari e io le studiai tutte. Prima di raccontare un caso, devo conoscerlo in ogni dettaglio».
Come quando si scrive un romanzo.
«Sì, solo che non si tratta di personaggi di fantasia, e neanche di professionisti del crimine, ma di persone normali che sono cadute nel gorgo di una maledetta storia. Una storia noir. E nel noir si concentrano tutte le passioni umane».
C'è qualche reato che giustificheresti in nome di una di queste passioni?
«I reati non si giudicano. Si interpretano». (Questa devo appuntarmela)
franca leosini roberto d agostino foto di bacco
E quindi in questi mesi di restrizioni hai continuato a interpretare?
«Ho lavorato alla realizzazione del mio nuovo programma. Andrà in onda in primavera e porta il titolo di un vecchio film, "Che fine ha fatto Baby Jane?", e ne restituisce anche il senso. Mi interessava sapere come affrontano il "dopo" quelli che hanno scontato la loro pena. Qual è il loro rapporto con la società una volta liberi? E in che modo si misurano con tutto ciò che resta del mondo di prima? Per certi crimini mediatici esiste una memoria storica. Chi non ne regge il peso, una volta fuori, si trasferisce all'estero. Ma non posso dare altre anticipazioni».
Tu credi nella funzione riabilitativa del carcere?
«La rieducazione rientra in una logica romantica. Il carcere è prima di tutto un'espiazione. Lì ci si confronta con il bene, ma anche con il male. Certo, ci sono tante strutture straordinarie, penso a Opera, Bollate, Rebibbia, dove, e la gente questo spesso lo ignora, i detenuti si dedicano ad attività culturali, ma la riabilitazione è soggettiva. Il ritorno alla società è una questione complessa, e anche la realizzazione di questo nuovo programma non è stata facile».
Perché?
«Ho dovuto indurre delle persone a rimettersi in gioco quando avrebbero voluto essere solo dimenticate. Raccontarsi è un trauma. Parlando con me, devono trovare il coraggio di ritornare nell'inferno del loro passato. Il mio è un approccio che presuppone un profondo rispetto. Sono tre i verbi che più frequento: capire, dubitare, raccontare».
antonio ciontoli intervistato da franca leosini
Dubitare?
«Mi è capitato di scegliere sulla carta delle storie che poi, una volta conosciuti di persona i protagonisti, ho deciso di non raccontare più. Avevo intravisto, da due tre cose che mi avevano detto e che non mi erano piaciute, l'ipotesi che volessero manipolarmi. Del resto io offro, attraverso il mio racconto, anche una possibilità, se non di riscatto, di perdono sociale. E non tutti se la meritano. Forse anche per questo non mi voglio occupare di serial killer o di pedofili».
IL CACCIATORE DI ANORESSICHE marco mariolini
Hai mai avuto paura?
«Sì, una volta. Con Marco Mariolini, il cacciatore di anoressiche. Prima ancora che Matteo Garrone decidesse di farci un film, io lo intervistai. Di solito ottengo, con grande cortesia e generosità da parte dei responsabili delle realtà carcerarie, che gli agenti di polizia restino al di fuori dalla stanza dove faccio le mie interviste. Altrimenti quelle persone non si racconterebbero in quel modo. E così resto sola davanti al diretto interessato. Nel caso di Mariolini, quando a un certo punto gli ho fatto una domanda più scomoda delle altre, lui ha cominciato ad agitarsi sulla sedia, non mi puoi vedere ma lo sto mimando, oscillava in un modo così inquietante che ho avuto la netta sensazione che volesse saltarmi addosso e farmi del male. Per fortuna non è successo. Ma non bisogna mai perdere la calma».
franca leosini e i fratelli castagna
Deve attirarti molto, il mondo del crimine.
«Sin da ragazza, sono sempre stata affascinata dai processi. Ma sono laureata in lettere, e m'interessa ancora di più scoprire le anime dei loro protagonisti. Però se non avessi fatto la giornalista, avrei fatto il magistrato. E penso che si debba farlo con coscienza. Del resto si decide per il destino degli altri. Per questo non manco di essere critica quando serve. Ho visto comminare pene in modo assurdo. Da venticinque anni a diciotto per le ventinove coltellate che Parolisi ha dato alla sua compagna, e poi l'ergastolo a Sabrina e a sua madre per il concorso nell'omicidio di Sara Scazzi».
Torniamo al presente. Come è cambiato?
«Prima dicevo "Vivo a Roma e vengo a Napoli". Mentre adesso vivo a Napoli e vengo a Roma. E a Roma lavoro meglio. Vado spesso in redazione, perché credo nel lavoro di gruppo e la mia presenza lì è catalizzante, e poi perché a Roma vengo meno coinvolta dalle cose di casa».
Quindi ora stai passando più tempo con la tua famiglia?
«Ho la fortuna di avere accanto un uomo molto innamorato, che sa prepararsi a malapena il caffè e che accetta il fatto che neanche io ami particolarmente cucinare. Ho sempre pensato che il segreto delle coppie che durano stia nel vedersi poco, come gli amanti che non hanno il problema dei calzini bucati. L'amore a targhe alterne, come lo chiamo io». (Ecco, un'altra delle sue celebri frasi da appuntare).
E le tue figlie?
«Non le vedo, per evitare rischi di contagio. Così come non vedo neanche la mia nipotina».
Che nonna sei?
«Non sono una nonna classica. Ma l'amore non ha l'orologio al polso. Così vedersi diventa un evento. Ora più che mai».
Come passi il tempo in casa quando non lavori?
«Ho una vera e propria forma di bulimia per la lettura. Sin da quando ero piccola. Ho sempre amato i gialli. E quanto alla televisione, sono molto selettiva, ma seguo la politica e quindi anche alcuni dei programmi che se ne occupano».
franca leosini storie maledetti sabrina misseri
Come è stata affrontata secondo te l'emergenza nel nostro paese?
«Criticare è l'operazione più facile, lo diceva anche Oscar Wilde. Io penso alle cose buone che sono state fatte, come gli ospedali che sono stati allestiti con grande velocità, e anche alla reazione di Napoli, città anarchica, con la sua vita comunitaria e la sua filosofia del "basso", che in realtà, a conti fatti, ha risposto con grande rigore e rispetto. Oggi la Campania non è neanche tra le regioni che hanno una diffusione del virus più evidente. Ma in generale tutti gli italiani hanno agito con consapevolezza. Una delle cose che faccio fatica ad accettare è il computo quotidiano delle vittime. Sento dire "oggi solo trecento morti". Penso a tutte quelle persone che muoiono in quel modo. Come si può dire "solo"?».
Per tornare ai momenti che ci cambiano, come quello che stiamo vivendo adesso, quali altri rammenti?
«L'intervista a Leonardo Sciascia. Ho avuto la fortuna di conoscerlo personalmente, tramite amici di famiglia. Si era appassionato anche lui a questa ragazza così curiosa, ero quel tipo di ragazza che a scuola prende dieci in italiano e i professori le regalano la matematica. Sciascia mi ha scritto lettere bellissime che conservo nella cassaforte. Un giorno, a Roma, mi invitò a pranzo al Bolognese e in quell'occasione incontrammo Valerio Riva, che dirigeva la sezione culturale dell'Espresso. Salutò Leonardo e si appuntò il mio numero su un foglio di carta. Poi mi telefonò, aveva visto che avevo un blocco pieno di appunti, mi chiese il pezzo e mi disse che avrebbe mandato una macchina a prenderlo alle cinque e mezza del mattino per pubblicarlo. Fu un'intervista che fece molto scalpore, era la prima volta che Sciascia denunciava il ruolo della donna nella criminalità organizzata, e spiegò quanto la mentalità femminile fosse responsabile nella formazione dei princìpi mafiosi. La intitolai "le zie di Sicilia" e da quel giorno cominciai a scrivere per l'Espresso e tutto cambiò».
E la televisione? Quando è arrivata?
«Con il Telefono Giallo. Quando sono diventata autrice del programma».
Il tuo giallista preferito?
«Georges Simenon».
Perché preferisci Maigret a Sherlock Holmes?
«Perché ha un quoziente di umanità supportata da una bonaria ironia, che lo schioda dalla pagina e lo porta tra noi. L'inquilino della porta accanto, al quale però dai del lei».
Prima di salutarci mi chiede dei miei bambini e lo fa con una tenerezza molto materna. Mentre attacco penso a questa donna, che più di ogni altra, forse, ha frequentato il male, e a tutte le volte che, con la forza della parola, ha cercato di scartavetrarlo alla ricerca di un riverbero di umanità. Non vedo l'ora di riascoltare l'intervista, e solo nel momento in cui mi accingo a farlo, scopro che l'app per la registrazione si è inceppata ai convenevoli iniziali. Fortuna che ho preso appunti sul primo foglio di carta che mi è capitato il quaderno dei compiti di mio figlio. E in fondo anche questa intervista è stata una lezione.
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