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Vera Schiavazzi per "la Repubblica"
Era, anzi è, la guida di intere generazioni di viaggiatori: Lonely Planet, pochi soldi, zaino in spalla, la passione per le strade meno battute e il contatto con le popolazioni locali. Casa madre australiana, prima edizione nel 1972, poi un successo a cascata che forse ha contribuito alla crisi. E ieri, puntualmente anche il Guardian ha ripreso la notizia di agenzia secondo la quale il rischio-chiusura per Lonely Planet sarebbe imminente, a seguito di un crollo nelle vendite a livello mondiale tra il 20 e il 30 per cento.
Seguito da smentite diffuse da Londra ma anche da Torino, dove ha sede EDT, l'editore italiano, e dalla constatazione che Lp è appena sbarcata sui mercati cinese, russo e brasiliano. Ma sullo sfondo c'è tutt'altro: quale futuro hanno il Baedeker e i suoi eredi, il volumetto cartaceo sul quale trovare le informazioni sugli Uffizi o sul Louvre che ha fatto la felicità di migliaia di inglesi impegnati nel Grand Tour?
Perché pagare per un libro quando esistono app che consentono di spedire una foto e avere in tempo reale le notizie su ciò che passa sotto i propri occhi? La risposta arriva proprio da Lonely, e da Angelo Pittro, direttore commerciale per l'Italia: «Ogni anno in questa stagione ci troviamo a dover smentire voci catastrofiche. All'inizio si trattava dell'incidente mortale di cui sarebbe stato vittima il nostro fondatore, poi del presunto appoggio ai regimi comunisti quando la nostra edizione tibetana è vietata nel paese, in seguito del fatto che la Bbc (che ha acquistato e poi ceduto il marchio, ndr) avrebbe snaturato la nostra filosofia.
Ora si annuncia la chiusura. Non è così: sforniamo nuovi titoli, risentiamo come tutti della crisi ma in Italia abbiamo continuato a crescere, per quota di mercato, perfino nel 2012». Carta o digitale? «Lavoriamo su entrambi, ma l'online per ora viaggia sotto il 5 per cento, a esclusione dei mercati di lingua anglosassone. Ciò non significa non scommetterci. Un libro, se lo perdi o lo dimentichi in aereo, non è una tragedia. Un iPhone o un ipad dipendono dal collegamento, e possono essere facilmente rubati».
Nell'attesa di sapere che ne sarà di Lonely Planet, e dei suoi 70 dipendenti italiani tra i quali diversi autori locali ("perché per raccontare un luogo sensibilità e linguaggio sono importanti"), il panorama degli altri editori mostra luci e ombre. Michelin continua a viaggiare sui grandi numeri, ma ha dovuto ammettere oltre ai ristoranti stellati le buone trattorie da 25 euro, e avviare un restyling delle sue guides vertes che ha coinvolto sei titoli in Italia. Il concorrente più importante di Lonely, però, è la Guide du Routard, e soprattutto il Touring Club, entrambi partner di Giunti.
«Abbiamo investito con decisione sul digitale - spiega Bruno Mari, vice presidente di Giunti, l'uomo che ha salvato le guide made in Italy - e ci siamo strutturati su tre diversi livelli: la preparazione al viaggio, che è una lettura e può avvenire anche su carta, le app da scaricare direttamente sul proprio telefono, gratis per le mete italiane e a pochi soldi per quelle straniere, infine il web dove prenotare anche albergo e ristorante o leggere il meteo.
I risultati sono incoraggianti ma abbiamo dovuto tagliare un buon terzo delle destinazioni, titoli che non avrebbero mai potuto pareggiare i conti. Abbiamo alle spalle un'associazione come il Touring Club che conta 300.000 soci in Italia, e nuovi soci come Slow Food che ci danno una freschezza difficile da ottenere altrimenti».
«Come si fa a partire senza libri? - si chiede Antonio Politano, direttore del Festival della letteratura di viaggio, sesta edizione in programma a Roma, in settembre - Personalmente, il coast to coast negli Stati Uniti lo affronto con "Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta", di Robert Pirsig». Sarà . Ma intanto sull'hashtag #lpmemories, racconta il Guardian, è partito ieri un flusso ininterrotto di lamentele dei fedelissimi di Lonely. «Che somiglia a un necrologio », scrive il quotidiano inglese.
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