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IL MIRACOLO DI OZZY OSBOURNE: È ENTRATO NEL MITO FACENDO DI TUTTO PER NON PIACERE A NESSUNO – IL LEADER DEI BLACK SABBATH, MORTO A 76 ANNI, HA INCARNATO FINO ALLA FINE I “DOGMI” DEI METALLARI: UN SUONO DISTURBANTE, UN’ESTETICA HORROR FATTA DI CROCI ROVESCIATE, DEMONI E CIMITERI CHE PUNTAVA A INORRIDIRE. IN 50 ANNI DI CARRIERA NON HA MAI INSEGUITO IL MERCATO E NON HA MAI CONTAMINATO IL SUO CREDO HEAVY METAL – L’ULTIMO CONCERTO DI BIRMINGHAM, APPENA DUE SETTIMANE FA, È STATO L’ADDIO AI SUOI “FEDELI” – VIDEO: QUANDO OZZY MANGIÒ UN PIPISTRELLO
Estratto dell’articolo di Daniele Erler per “Domani”
«Ozzy Osbourne è morto. Era un grande artista, e io, da fan giovanile, lo cantavo nelle cantine romane, come si usava in quegli anni: beata gioventù. Sarai indimenticabile». Questo ricordo, condiviso sui social da Amedeo Minghi, racconta bene quanto sia trasversale il rimpianto per la sua scomparsa. In queste ore, i messaggi di cordoglio arrivano da ogni direzione, anche da chi non ci si aspetterebbe.
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Ma proprio questa partecipazione collettiva rende più evidente quello che forse è il vero paradosso di Ozzy Osbourne: la sua capacità di entrare nel cuore di tanti “insospettabili”, senza mai cercare di compiacere il pubblico generale. Anzi: sfidando le mode, rivendicando il proprio stile indisciplinato da principe delle tenebre.
OZZY OSBOURNE ADDENTA IL PIPISTRELLO
Ovviamente l’emozione di questi giorni può alterare le percezioni. Ma forse il punto è un altro, e riguarda la portata sociale del suo modo di vivere la musica. Ozzy non ha mai sentito il bisogno di inseguire il mercato. In oltre cinquant’anni di carriera, non ha mai contaminato il proprio approccio. È rimasto fedele all’immaginario che aveva contribuito a creare. Fino all’ultimo giorno, è stato un profeta dell’heavy metal.
E così, senza compromessi, ha costruito il suo pubblico, che per lunghi tratti ha tentato di prendere spunto dal suo vissuto, musicale e umano. Quella di Ozzy è stata anche la storia dei suoi fan più fedeli. La storia di una sottocultura, di una tribù invisibile, sofferente, ma ancora viva, proprio perché si è imposta delle regole ferree.
I metallari esistono ancora e per molti aspetti assomigliano ai loro progenitori degli anni Ottanta. Il problema è che rischiano sempre di più di diventare discepoli senza profeti, adoratori di un’epoca che non esiste più. La morte di Ozzy Osbourne è la vendetta del tempo contro chi vive in una nostalgia perenne.
Questo non significa, ovviamente, che nella lunga carriera di Ozzy Osbourne non ci sia stata un’evoluzione musicale. Ma fin dall’inizio il suo universo sonoro ha avuto una matrice riconoscibile.
I primi album dei Black Sabbath sono immersi nell’oscurità: hanno richiami gotici, atmosfere cupe e riff di chitarra lenti, ossessivi, che improvvisamente accelerano come in un’esplosione controllata. Quel suono, ripetitivo e metallico, è ispirato – come in una catarsi – ai rumori delle industrie delle periferie di Birmingham, città di origine della band.
Molto si deve a un caso fortuito: il chitarrista Tony Iommi fu vittima di un incidente sul lavoro. In fabbrica, una pressa gli tranciò due polpastrelli della mano destra, che da mancino usava per premere i tasti della chitarra. Si costruì due protesi e, per alleviare la pressione sulle dita, abbassò l’accordatura e scelse corde più morbide e meno tese. Il suono cupo dei Black Sabbath nasceva così e divenne poi un manifesto che ispirò un intero genere.
L’heavy metal nasceva dunque nel contesto del movimento operaio inglese, e quindi come una cultura per sua definizione alternativa. Anche Ozzy veniva da quell’ambiente: aveva lavorato in fabbrica, in un mattatoio o come idraulico. Era cresciuto tra povertà e lavori faticosi, in un’Inghilterra postindustriale che non sembra offrire scorciatoie. La musica poteva essere l’unica speranza.
OZZY OSBOURNE FOTO SEGNALETICA
Anche l’estetica horror – fatta di croci rovesciate, demoni e cimiteri – serviva a rompere con ogni forma di linguaggio preconfezionato. Ricordava Edgar Allan Poe, H.P. Lovecraft e la letteratura gotica. Ma in fondo era anche un’altra cosa: un nuovo credo, alternativo a ogni religione ufficiale, che parlava al disagio, alla rabbia e alla solitudine di una generazione. I Black Sabbath stavano cercando di dare forma a questo credo.
Per capirne il senso, si possono ascoltare – possibilmente nella versione in vinile – i primissimi minuti del primo album, uscito nel 1970. Si apre con il suono della pioggia, con i tuoni in lontananza e le campane funebri che scandiscono l’attesa. Poi parte il riff di chitarra, basato sull’intervallo del tritono Sol-Do diesis.
È un suono disturbante, instabile, che sembra infrangere le regole dell’armonia classica. Ma che in realtà sta semplicemente scrivendo regole tutte nuove, a servizio degli adepti di una religione nuova.
L’heavy metal nasceva dunque con una ricerca, quasi scientifica, di tutto ciò che poteva inorridire ed essere frainteso. Per questo, ai tempi era ovviamente anche un movimento profondamente generazionale, che contrapponeva i giovani agli adulti. […]
Oggi l’heavy metal è dunque un movimento in crisi, soprattutto commerciale, ma che nella penombra mantiene comunque le stesse caratteristiche: quelle che i Black Sabbath contribuirono a definire, ormai 55 anni fa.
Forse più di qualsiasi altro gruppo di fan musicali, i metallari si riconoscono in una serie di dogmi che vanno oltre il suono. La musica diventa una fede, con le sue regole settarie, le accuse di eresia e l’orgoglio di chi si sente sempre incompreso. Naturalmente c’è l’aspetto estetico: i maschi usano ancora i capelli lunghi (se la genetica lo permette), i pantaloni di pelle e i giubbotti di jeans smanicati e con le toppe. Ma non c’è solo questo. C’è un profondo senso di lealtà e di fratellanza, che si capisce solo nei mondi paralleli in cui i metallari si ritrovano. Può essere un bar di provincia, o lo stadio Euganeo di Padova, dove qualche settimana fa hanno suonato gli Iron Maiden (facendo il tutto esaurito).
La fedeltà
Tutto questo contrasta con la natura della musica liquida di oggi, costruita per durare i 15 secondi di un TikTok, o per scavalcare per qualche secondo le classifiche dello streaming, prima di lasciare spazio a qualcun altro.
Allo stesso tempo, è anche la principale obiezione fatta dai detrattori dell’heavy metal: la sua chiusura è diventata anche una forma di immobilismo, che non ha mai permesso al genere di evolvere davvero. E forse proprio per questo il genere ha smesso, da tempo, di dominare il mercato.
Eppure è solo tenendo tutto questo in mente che si capisce il paradosso di Ozzy Osbourne, ora che è morto. Dopo essere stato cacciato dai Black Sabbath alla fine degli anni Settanta per i suoi eccessi, iniziò una carriera solista altrettanto fortunata.
Si circondò di alcuni tra i migliori chitarristi del genere – come Randy Rhoads, Jake E. Lee e Zakk Wylde – e, pur cedendo talvolta al fascino delle ballate e dei ritornelli orecchiabili, non tradì mai i dogmi che aveva contribuito a definire. Nemmeno quando divenne così mainstream da diventare il protagonista di un reality show.
L’ultimo concerto di Birmingham, appena due settimane fa, è stato la sublimazione di tutto questo. È stato il sabba di un popolo invisibile che ancora esiste (e forse resiste). Molte rock star sono morte lontane dal palco, senza assomigliare per nulla a ciò che erano state da giovani. Ozzy Osbourne avrà pure avuto un sacco di difetti, ma non gli si può negare il pregio della coerenza.
OZZY OSBOURNE
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