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Paul Theroux per “The Guardian”
Questi alieni creativi ed espatriati, residenti e visitatori che viaggiano da cultura a cultura, da isola a isola, dalla città alla laguna blu, da un sistema assurdo di credenze all’altro, ma sempre tenendosi fuori, affrontano la sfida di come rappresentare la profusione di immagini e convinzioni, questa massa sensazioni tattili, odori, bellezze, il mondo come un rottame.
Credo sia questo a spiegare la soluzione fantasiosa e il dilemma di Ashley Bickerton: nato a Barbados, cresciuto in Ghana, Guyana, Inghilterra, Hawaii, Isole Baleari e California. Ha vissuto e fatto arte per 12 anni a New York City, a Bali per 24 anni, facendo anche il surfista, il vagabondo che dorme in spiaggia, dal Messico all’Oceania. E’ in costante opposizione alla tradizione dell’idealismo romantico, la sua visione è disturbante, la sua ossessione dei detriti galleggianti sembra connessa alla realtà di un mondo in rovina.
ashley bickerton smiling woman
Quando si vedono tette e culi, sono straordinariamente piacevoli, e potrebbero non essere di donna, perché lui è un grande demistificatore dell’esotismo. Il filo conduttore è l’artificio culturale. La vita dell’alieno sembra romanzata, si cala in un dramma che non comprende completamente. Uno dei fenomeni della vita di un espatriato è l’esaltazione della quotidianità: più grande, fisica, distorta, quasi surreale. E nell’arte questa esperienza si esprime al meglio.
ashley bickerton tropical twist
Bickerton è in parte un uomo senza patria e questo distacco, questa immersione in altre culture, lo ha reso un partecipante e un osservatore. Lui stesso dice: «[The Blue Man] è forse la rappresentazione dell’anti-eroe del ventesimo secolo, alla deriva con le sue congetture, nell’inventato paradiso del ventunesimo secolo». Fa la parodia e smonta la vita da isolano/isolato.
Prima, nella carriera, ci ricordava che viviamo in un mondo dominato da loghi, simboli che contano, comunque, come nelle società tribali. Ad aprile le sue opere erano alla ‘Newport Street Gallery’ di Londra di proprietà di Damien Hirst (fino al 16 dicembre alla FLAG Art Foundation di New York), in una mostra intitolata ‘Ashley Bickerton: Ornamental Hysteria’, che chiamerei iconografia parodistica. C’è un mood che si avvicina al liturgico, dalle sue ninfe di “Silver Girls” a ‘Canoe, Shark, Woman’, che rappresenta appieno la sua ossessione da isola tropicale, e il feticismo tipico degli isolani, realizzato con oggetti raccattati (pesci, fiori, perle, limoni, gusci).
Il genere è spesso indistinto nei suoi lavori. Le ragazze, sono ragazzi ornati. Le sue ninfe transgender creano l’immagine dell’outsider e dell’alieno che ha formato la sua esistenza sul viaggio. L’essere diverso è essere strano, speciale, vulnerabile. Bickerton è l’esperto della non appartenenza: «Anche se sono un uomo bianco, ho scelto di essere l’Altro».
Le sue donne sono le sue madonne, a volte con otto braccia, ma invece di stringere il loto, stringono carte di credito, cellulari, chiavi: «La fede religiosa ha a che fare con il guadagnarsi l’accesso all’esistenza voluttuosa sulla comoda amaca eterna dell’aldilà». Anche lo squalo è visto come un dio, un “aumakua”, e Bickerton lo adorna, rimuove la minaccia, lo impregna di ‘mana’, potere spirituale.
sudio bali di ashley bickerton
Bickerton non ha scoperto il surf in California o alle Hawaii, ma in Ghana. E’ un surfista superbo ma denigra la vita del surfista come ’sovraffollamento di massa, territorialismo tribale’. Con le sue peregrinazioni ha sviluppato un enorme vocabolario visuale: «La pittura è troppo fumettistica, la fotografia troppo clinica, la scultura troppo presuntuosa. Ma un misto delle tre funziona. Il mio stile sta nel loro interscambio».
opera di ashley bickertonBickerton, right, with Paul Theroux on Oahu’s North Shore in 2016 7
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