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Quirino Conti per Dagospia
Che sia per l'aspro sentore penitenziale che questa quaresima sembra voler spargere per l'aria (dura e dolente quaresima, purtroppo!), o forse perché, quando le cose si complicano, una via d'uscita conviene sempre indicarla, o per chissà quali altre ragioni, certo è che mai si era letto qualcosa di simile a firma Suzy Menkes.
All'improvviso, nel bel mezzo della scorsa settimana milanese della Moda, tra un Dolce&Gabbana e un Emporio Armani, come se la Colomba del Paraclito avesse nidificato nel boccolo che da anni domina intimorente la sua complessa figura. A sorpresa, infatti, come ispirata da un inatteso sommovimento moralizzante, ecco che d'improvviso se ne esce con un Miserere e un Confiteor quali mai la Moda aveva registrato, o anche solo fantasticato, a memoria di couturier e stilisti.
La causa scatenante? Le lacrime tracimate sulla pedana di Jil Sander dai begli occhi del belga Raf Simons. Il quale, dopo sette anni di accurato lavoro per quella griffe, deve ora lasciarla a causa dell'ennesimo (eterno) ritorno dell'instabile designer tedesca, fondatrice del marchio. A quel punto, la trotterellante Suzy, sempre più simile alla intenerente fatina-tutto-cuore generosa artefice del destino di Cenerentola nel celeberrimo cartoon, deve essersi presumibilmente detta: "Qui, se siamo ormai ai piagnistei, le cose stanno per complicarsi davvero: tanto per cominciare, imbarchiamoci in un rapido e generale Mea culpa: a nome di tutti...".
E dalle pagine del "New York Times", da un giorno all'altro ha iniziato a mettere in fila, a uno a uno, tutti i rospi che, con ogni probabilità , dovevano esserle rimasti in gola nel corso di questi foschi anni di vertiginose quadriglie stilistiche. In un vortice di "arrivi e partenze" da confondere il più esperto controllore satellitare.
Sarebbe noiosissimo ripercorrerli qui, tutti; assieme alle corrispettive (e strampalatissime) decisioni strategiche prese a proposito: in queste ultime stagioni, ma, in realtà , ormai da anni. Di fatto, un viavai di nomi (ma anche, purtroppo, di biografie e sensibilità ) per incarichi dati e tolti con la stessa ragionevolezza con la quale muta l'umore di un meteoropatico. E purtroppo, con autentiche tragedie sullo sfondo.
Il Paraclito della Moda, dunque, dopo aver sciorinato responsabilità , colpe e cinismi vari - di tutti, nessuno escluso -, solo di passaggio però, e fuggevolmente, accenna a un'eventuale responsabilità della stampa. Enorme, invece - va detto -, in un ambiente troppo eticamente gracile per opporsi a quante, pistola alla mano (il consueto ricatto delle pagine redazionali), quali "sceriffe dello Stile", muovevano teste, biografie (e denari) come fosse davvero un gioco di scacchi.
Ecco che allora la signora Menkes, in un rigurgito d'insofferenza, per quel po' po' di sovvertimenti in arrivo (memore, certo, anche di quelli già avvenuti), con il suo insolito articolo tenta di portare alla luce una "tratta stilistica" davvero senza precedenti.
Probabilmente non avendo mai digerito lei stessa, mentre avveniva, l'enorme traffico di controfigure passate sul soglio dei massimi designer del Novecento. Anche a causa di amministratori delegati (responsabili, si fa per dire) incompetenti, incapaci, conniventi e spesso del tutto estranei all'ambiente (per alcuni, un glorioso passato nei gelati e negli yogurt). E di compensi spropositati per consulenze improprie e non del tutto esemplari.
Nell'articolo, la signora Menkes fa però anche cenno a disagi più profondi e dolorosi: quelli, cioè, che generati nel designer da una pressione talora insopportabile cercherebbero sollievo nell'alcol e nella droga. Del resto, dal suo posto in prima fila, di cose deve averne viste e sentite!
Da quando, cioè, sui gloriosissimi scranni dei più sublimi poeti della Moda hanno iniziato a sedere epigoni, controfigure e opportunisti di ogni genere. Ai quali, dopo guerre per bande (procacciatori, testate, addetti ecc.), si chiede letteralmente l'impossibile: avere anche talento.
Sostituendo alla genialità (evidentemente insostituibile) vincoli di sangue, buone relazioni, amicizie, simpatia e gag; ma anche impegno e buona volontà . Come bastasse. La signora Menkes d'altronde, sa come nessuno che la Moda non è un mestiere per diligenti tuttofare; piuttosto, a quei livelli, come per un coreografo o un musicista, l'esercizio di un dono d'origine.
Talora preziosissimo e raro. Il fatto è che il talento è merce molto rara; e che, come tutto, anche i cicli formali di maggior fortuna (basti pensare alla mole di genialità condensata attorno alla Couture, e quindi allo stilismo) non garantiscono purtroppo una durata eterna. à così per ogni epopea: nasce, si sviluppa, dà il meglio di sé, poi deperisce e muore. O diviene altro.
Nonostante si continui a credere di poter essere ancora artisti esattamente come quelli del passato più eroico anche partecipando alle correnti biennali. Naturalmente, è più saggio fingere di crederlo o di non sapere. Così che tutto resti com'è, se non altro nei compensi. E nei vantaggi.
Una collega della signora Menkes, saggia almeno quanto lei, a suo tempo in vena di scorata sincerità , sommessamente confidava: "Se il mio direttore sapesse cosa ne è della Moda!".
Addio Londra, New York e Parigi...
Meglio un bel Miserere mei Domine allora, e che tutto rimanga immutato. D'altro canto, come dice lo stesso articolo, con le sostituzioni in corso e i nuovi "faccia a faccia" ce ne saranno di emozioni da vivere e da commentare. Ma a quale prezzo!
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