GLORIA, MANCHI TU NELL’ARIA - DALL’ANTICA ROMA ALLA RICERCA DEL CONSENSO SUI SOCIAL: LA POLITICA HA PERSO IL PRIMATO DELLA GLORIA, TUTTI “CELEBRO-LESI”, TUTTI STAR, TUTTI FAMOSI PER ESSERE FAMOSI

1.CERCASI GLORIA

Roberta Scorranese per il "Corriere della Sera"

festival filosofiafestival filosofia

 

La caduta di Icaro è un quadro di Bruegel il Vecchio, del 1558. Surreale: l’intera tela è occupata dal panorama assolato di Messina, con persone al lavoro e solo in un angolo si intravede una gamba che emerge dall’acqua, allusione al gesto disperato di un uomo che annega. La genialità del fiammingo punisce l’ansia di gloria del personaggio, ridimensionandolo al quotidiano: gli individui che cercano la fama eterna con azioni soggettive non cambiano il mondo.

 

È così che il tema della gloria ci appare nelle sue contraddizioni: se questo concetto ha edificato imperi e destini (un esempio su tutti: l’antica Roma), oggi lascia il passo a derivati più effimeri, come la popolarità, la fama e la ricerca del consenso.

 

carlo gallicarlo galli

«Ingenerando confusione, ed è per questo che abbiamo scelto la gloria come tema portante del Festival Filosofia di Moderna, Carpi e Sassuolo: le domande sulla democrazia impongono una riflessione», dice Michelina Borsari, da anni «anima» della rassegna, giunta alla 14ª edizione. Dal 12 al 14 settembre, lezioni magistrali, incontri e mostre in oltre 50 tra piazze e cortili per capire meglio un concetto non facile da definire: perché oggi, soprattutto in politica, nessuno si azzarda a parlare di «gloria» ma preferisce l’espressione «il bene dei cittadini»? E perché le dinamiche del consenso sono sempre più fragili, evanescenti?

 

«Uno degli equivoci più frequenti porta a confondere il consenso con la democrazia. Il consenso è piuttosto una conseguenza: quello che conta è un forte e concreto contenuto politico, possibilmente sganciato dalla figura di un leader, seppure carismatico», afferma Nello Preterossi, docente di Filosofia del diritto a Salerno, che terrà una lezione proprio sul consenso. Ecco, il carisma.

Nathaleie Heinich 
Nathaleie Heinich

 

Quella grazia impalpabile ma emotivamente catalizzante che Max Weber ha scandagliato con somma maestria, è ancora oggi un detonatore simbolico, capace di attrarre il consenso delle masse? «Oggi il meccanismo è più precario — continua Preterossi — proprio per la caratteristica apoliticità dell’epoca in cui viviamo. Non ci sono più grandi leader con consistenti movimenti politici alle spalle».

 

Un esempio è il Movimento 5 Stelle: ha drenato una serie di bisogni trasversali, propugnando l’«uno vale uno», una perfetta orizzontalità che, però, si sfalda di fronte a fiammate di decisionismo dall’alto. Una confusione che nasce dalla «natura della politica odierna che è molto diversa rispetto al passato», osserva Carlo Galli, docente di Storia delle dottrine politiche a Bologna, che terrà una lectio dal titolo Élites. I poteri e la gloria .

 

Galli osserva: «La gloria in senso politico implica l’eccellenza in un’opera, la durata e la comunicazione di un’impresa. Oggi questo concetto, che parte dall’individuo per poi ricadere sui cittadini, come nel caso di Cesare, non è contemplato nelle politiche di uno Stato. Non è presente nella Costituzione e, semmai, è rintracciabile in altri ambiti. Mi vengono in mente nomi come Enzo Ferrari, o, all’estero, Picasso o Einstein».

 

GIGI MARZULLO AL CELLULARE FOTO ANDREA ARRIGA GIGI MARZULLO AL CELLULARE FOTO ANDREA ARRIGA

La politica ha dunque perso il primato della gloria che (lo ricorderanno gli innumerevoli studiosi presenti al Festival, da Ferraris a Marramao a Marc Augé) a volte implica una guerra o un’affermazione dell’individuo. Ha vinto il superuomo di massa, di nietzschiana memoria? «Ha vinto la gloria di massa o, per essere più chiari, il quarto d’ora di popolarità preconizzato da Warhol», conclude Galli.

 

La gloria, dunque, va cercata. Nella discussione sul potere invisibile che farà Carlo Sini, nel rispetto, tema che verrà affrontato da Roberta de Monticelli o nell’ordine simbolico del potere, lezione di Giacomo Marramao. Però, in conclusione, si potrebbe cominciare dall’auspicio della direttrice Borsari: «Facciamo in modo che molti ricercatori italiani famosi all’estero e poco conosciuti nel proprio Paese possano trovare un giusto riconoscimento anche qui da noi».

 

2. "ADDIO STAR SYSTEM, LA CELEBRITÀ OGGI È DI TUTTI"

Stefano Montefiori per il "Corriere della Sera"

 

«Quel che mi interessa è mostrare che la visibilità, anzi il capitale di visibilità, è un capitale allo stesso titolo che quello economico o culturale o sociale. È il prodotto di una nuova categoria sociale, che è la categoria delle celebrità durevoli», dice la sociologa Nathalie Heinich, che per il Festival di Modena ha preparato un intervento basato sul suo libro del 2012, «De la visibilité» (Gallimard).

belen (1)belen (1)

 

Che significa per lei «visibilità»?

«È un modo di vedere la celebrità come particolarmente modificata dal regno dell’immagine. Cerco di mostrare che le forme della celebrità si sono enormemente modificate durante il XX secolo a causa dell’arrivo di mezzi tecnici di produzione e diffusione come fotografia, cinema, tv, Internet, e che questo ha creato modificazioni considerevoli in tutta la nostra percezione del legame sociale».

 

Internet e applicazioni come Instagram o Twitter rappresentano una continuità o una rottura?

«Ci sono due risposte possibili alla stessa domanda. C’è continuità perché siamo sempre nella diffusione su larga scala di immagini di celebrità, con una grande importanza data all’apparenza, al viso, alla bellezza, alla moda, a tutto quel che passa attraverso gli elementi che possono essere considerati come i più superficiali. La rottura sta nel fatto che questa polarizzazione dell’immagine non ha più bisogno di intermediari specializzati, come erano gli editori di giornali, gli addetti stampa, i fotografi al tempo dello star system; può essere prodotta da chiunque a proposito di chiunque. Chiunque può postare su Internet la sua propria immagine, che può essere vista da migliaia di persone».

miley cyrus 20miley cyrus 20

 

È un processo di democratizzazione?

«Assistiamo a una specie di democratizzazione della visibilità, che quindi si accompagna alla sua perdita di prestigio. Un privilegio per essere tale deve essere raro, era questo il caso al tempo dello star system. Oggi, grazie a questa tecnologia dell’immagine, questa visibilità ha perso una grande parte del suo potere di distinzione».

 

Si è perso il legame della celebrità con il talento?

«Lo si era già perso prima, la questione si pone in generale, con l’inizio della visibilità. In certi casi la visibilità non fa che concretizzare un talento che pre-esiste, per esempio nel caso dei grandi artisti, che sono tali ancor prima che la loro immagine si diffonda nello spazio pubblico. Poi c’è tutta una categoria di celebrità che si sono costruite grazie agli strumenti tecnici, per i quali la questione del talento non è più preponderante. Pensiamo per esempio agli eroi dei reality show, o agli animatori della tv, il cui talento è riassumibile nella capacità di trasmettere carisma, capitale di simpatia, o bellezza, ma per i quali il talento specifico gioca un ruolo piuttosto debole. Questo culto delle celebrità moderne è legato al carattere pubblico e diffuso della loro immagine».

 

La ricerca di follower su Twitter o di apprezzamento delle foto su Instagram è una forma di ricerca della visibilità?

ROBERTA DE MONTICELLIROBERTA DE MONTICELLI

«Il fatto che il talento non sia più una condizione necessaria per la celebrità spinge milioni di persone a cercarla. La celebrità anche in questi casi diventa un fine in sé. Possiamo trovarla una forma di nevrosi o anche un gioco senza conseguenze, non do giudizi morali».

 

Oggi esistono élite del denaro, della cultura, e anche della visibilità. Quale rapporto esiste tra loro?

«Sono vasi comunicanti, categorie che hanno accesso a livelli di privilegio equivalenti, e lo vediamo nel caso dei matrimoni. Quando il principe di Monaco ha sposato un’attrice, Grace Kelly, decenni fa, ha provocato uno scandalo perché introduceva una categoria sociale sfavorita, all’epoca senza confronto con il valore sociale della famiglia principesca. Oggi l’élite della visibilità si è ormai molto avvicinata alle altre».