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1. HOUSE OF CARDS: SE KEVIN SPACEY PERDE LA SUA ANIMA NERA
Aldo Grasso per il “Corriere della Sera”
beau willimon con regista e cast di house of cards
Frank Underwood è tornato. Ci erano mancate le sue citazioni, la sua retorica manipolatrice, le sue doti da grande dissimulatore: sensi di colpa e rimpianti non sono tratti che appartengono al suo carattere e le cose non cambieranno certo ora che è diventato il 46esimo presidente degli Stati Uniti.
Sky Atlantic ha mandato in onda le prime due puntate della terza stagione di «House of Cards», in contemporanea con la distribuzione della serie fatta da Netflix in America (venerdì, da mezzanotte). Come sempre, sono state un condensato di raffinati disegni politici, scavo psicologico, grande racconto: ogni strategia è di un’ammirevole insolenza.
La scena si è aperta all’ospedale in cui Doug Stamper, l’ambiguo capo dello staff di Frank, viene ricoverato in precarie condizioni fisiche dopo esser stato aggredito sei mesi prima dalla prostituta Rachel.
Il tutto viene fatto passare come incidente per evitare imbarazzi. È attraverso il punto di vista di Doug, ormai fuori dal «cerchio magico» di Frank, che ci immergiamo nelle acque agitate della presidenza Underwood: i repubblicani gli danno contro al Congresso sull’iniziativa «America Works» (una specie di Jobs Act) e la leadership del partito democratico non gli rende la vita facile.
Per la prima volta vediamo Frank (Kevin Spacey) in seria difficoltà, l’eccitazione della conquista del potere sostituita dalle grane quotidiane del comando e dai voltafaccia dei suoi ex fedelissimi.
«House of Cards» resta, al suo cuore, un grande apologo sul matrimonio. Uno dei temi più forti della nuova stagione sembra essere qualche possibile crepa nel rapporto tra Frank e la sua «anima nera», la moglie Claire (Robin Wright): cosa può succedere se la loro smania di potere non si muove più all’unisono ma verso obiettivi inconciliabili? Menzione speciale per il cameo di Stephen Colbert, che interpreta se stesso intervistando il presidente Underwood in una puntata del «Colbert Report».
2. IL CATTIVO PRESIDENTE
Federico Rampini per "la Repubblica"
Purché i nostri politici non lo scambino per il nuovo Principe di Machiavelli. Alla larga dall’etica demoniaca di Frank Underwood e della sua Lady Macbeth. Ma il fascino del male, soprattutto quando s’incarna nel Potere Supremo, non conosce frontiere. House of cards è diventato globale al punto che ieri il mondo intero (in Italia su Sky Atlantic in originale e in italiano dal 4 marzo) ha potuto guardare l’avvio delle terza serie, in quasi-contemporanea con gli Stati Uniti (qualche ora di vantaggio qui l’abbiamo avuta grazie al fuso e all’abbonamento Netflix).
Dunque eccoci nell’era dell’Amministrazione Underwood. Il politico senza scrupoli, interpretato dal magistrale Kevin Spacey, si era arrampicato usando mezzi leciti e (molto) illeciti: da capogruppo democratico alla Camera, a vicepresidente, fino a costringere il presidente alle dimissioni per sostituirlo. La terza serie comincia con l’anti-Obama alla Casa Bianca.
Anti-Obama almeno nello stile: Underwood è cinico, arrogante, prepotente, infido, crudele. E tuttavia quello che propone alla nazione è un nuovo patto sociale che Obama non disdegnerebbe, e lo “vende” nel marketing politico con parole che sembrano copiate dal presidente vero: «L’American Dream vi ha traditi. Dobbiamo spostare risorse a favore degli investimenti produttivi, creare dieci milioni di posti in più». 500 miliardi d’investimenti pubblici, poco più della metà di quelli che Obama riuscì a varare nel 2009 per trainare l’America fuori dalla depressione.
netflix house of cards kevin spacey
Underwood in realtà sta pensando a una cosa sola: dopo essersi insediato alla Casa Bianca di straforo, deve conquistarla vincendo un’elezione presidenziale. Piccolo problema: tutti lo odiano. C’è anche da gestire l’ambizione sfrenata della First Lady, la gelida calcolatrice interpretata da Robin Wright. Vuole «cominciare a costruire la propria carriera politica», in vista del giorno in cui il marito sarà fuori gioco: proprio come una certa Hillary pianificò il suo futuro? Come Hillary anche la signora Underwood si cimenta con la politica estera: s’intestardisce a ottenere la nomina come ambasciatrice Usa all’Onu, oltrepassando una disastrosa audizione e la bocciatura del Senato.
Intrighi e trame da corte rinascimentale, si susseguono sullo sfondo di una geopolitica molto aggiornata. Nelle prime due serie di House of cards il grande rivale strategico era la Cina, ora diventa la Russia. La sceneggiatura è sempre di qualità, grazie allo scrittore-politico britannico Michael Dobbs, membro del partito conservatore di David Cameron. Realistico, anche troppo?
In questa Washington non c’è spazio per valori, ideali. Deboli e onesti fanno tutt’uno, condannati a soccombere. L’etica di Spacey-Underwood si riassume in questa frase, pronunciata guardando lo spettatore fisso negli occhi: «Il potere è ancora più importante del denaro. Ma quando arrivano le elezioni, è il denaro che porta al potere».
Più che Machiavelli o Thomas Hobbes, il testo di riferimento per House of cards dovrebbe essere l’ultimo Francis Fukuyama, il politologo di Stanford che teorizza “decadenza e patologia della democrazia americana”. Dopo aver visto House of cards ci sono due reazioni possibili. La prima: non andare più neanche a votare; è una china che quasi metà degli americani ha già imboccato da tempo. La seconda, è battersi per una rinascita della democrazia di Tocqueville: la partecipazione della società civile, il controllo dal basso, la riforma dei finanziamenti elettorali. Anche questo sta accadendo, per fortuna.
bill hillary clinton come house of cards
Intanto House of cards continua la sua vera funzione rivoluzionaria: nel business della tv. Lanciata esattamente due anni fa, ha segnato l’invasione di campo di Netflix, ex start-up digitale di Los Gatos, nel mestiere delle major televisive e cinematografiche. Silicon Valley contro Hollywood. Ha fatto incetta di Emmy Awards, ha proiettato il numero di abbonati a Netflix da 24 a 57 milioni, triplicando il valore di Borsa della società.
Da Netflix a YouTube e Amazon, i Padroni della Rete sono ormai protagonisti della produzione diretta, per cinema e tv. Il videostreaming online ha sconvolto le abitudini degli spettatori. Tramonta il concetto di “appuntamento settimanale” con le puntate della serie: è tutta disponibile in una volta sola. Ieri i fan più insaziabili hanno passato la notte in bianco, 13 puntate una di seguito all’altra. È nato un nuovo format: la “binge review” o recensione bulimica, uno sport estremo.
michael dobbs con il cast di house of cards
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