L’AMERIKANO RIOTTA, RIOTTAMATO DALL’AUTORE DELLO SCOOP SUL DATAGATE GLENN GREENWALD SU TWITTER: “BUGIARDO!”

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Da Lettera43.it

Una faida internazionale tra giornalisti scoppiata nel nome del Datagate.
La lite tra Gianni Riotta e Glenn Greenwald è scoppiata su Twitter. A originarla un editoriale pubblicato il 22 ottobre su La Stampa a firma di Riotta.
Nell'articolo, l'ex direttore del Sole 24Ore ha attaccato il collega che ha lasciato il Guardian, accusandolo di essere in affari con il miliardario Pierre Omidyar, fondatore di eBay, per pubblicare nuovi documenti riservati senza usare le «precauzioni giornalistiche 'old media' dei quotidiani, considerate obsolete».

«SENZA CONTROLLO DELLE FONTI»
Insomma, Greenwald pubblicherebbe le informazioni in suo possesso senza controllare le fonti, e inoltre ci sarebbe, secondo Riotta, una sorta di incoerenza nel suo opporsi ai controlli segreti della National security agency pur lavorando per una compagnia come eBay, che utilizza gli stessi algoritmi della Nsa per «studiare e raccogliere i nostri gusti online», ed è addirittura «pioniera di queste tecniche informatiche».

«Di tutte le cose che ho letto piene di bugie finora, questo editoriale è quello che ne contiene di più, e le più scontate», ha twittato Greenwald rivolgendosi a Riotta.
«'Bugie' è una parola. Le discussioni dovrebbero essere un po' più argomentate, anche per lei, signore», ha replicato il giornalista italiano.

Ma Greenwald non si è arreso: «Hai inventato di sana pianta molti punti su come io ho pubblicato col Guardian e pubblicherò nella mia nuova esperienza». E ancora: «Ma è normale per questo giornale pubbicare affermazioni tanto incaute e completamente false? Non c'è un briciolo di verifica dei fatti».
E alla fine Riotta ha sbottato: «Inzigato dai suoi groupies italiani @ggreenwald insulta, senza però argomentare su attivismo digitale, libera informazione e terrorismo».

A smontare la tesi di Riotta c'è anche il racconto di Janine Gibson, direttore del Guardian Usa che in occasione dell'Online News Association (l'associazione mondiale dei giornalisti digitale) ha svelato la genesi e i retroscena del Datagate, come riportato dalla versione online del quotidiano La Repubblica.

I CONTROLLI A HONG KONG
Dopo i contatti tra Greenwald ed Edward Snowden, il giornalista, secondo la versione di Gibson, si presentò a New York per discutere dello scoop con i vertici del giornale.
«Come verificare che tutto fosse vero? Ci siamo chiesti se qualcuno volesse incastrarci e perché», ha raccontato Gibson che decise allora di mandare Ewen McAskill, «un reporter del Guardian di grande esperienza, con il giusto grado di scetticismo» a Hong Kong per incontrare la spia della Nsa di persona.

UN MESE PER LE VERIFICHE
«Dal primo contatto alla pubblicazione del primo articolo passò circa un mese. Fu il tempo delle verifiche», ha spiegato il direttore del Guardian Usa. «Non abbiamo mai pensato che quei materiali non andassero pubblicati. Fu più un processo di verifica e comprensione del materiale», perché «allora non sapevamo molto di comunicazioni criptate».

IL LAVORO IN TEAM
Il metodo di lavoro era semplice. «In una grande stanza c'erano gli avvocati, i documenti, un sacco di computer», ha svelato Gibson, «e poi c'era una stanzetta senza telefoni e senza computer, con solo una lavagna dove annotavamo le fasi». Intanto in Usa altri reporter «lavoravano alla storia al buio, senza conoscere i documenti».

NO COMMENT DA VERIZON
La prima storia scelta fu quella su Verizon. «Quando abbiamo chiesto al gestore telefonico l'ordine di sorveglianza», ha spiegato il direttore del Guardian Usa, «abbiamo registrato la loro reazione. Se avessero smentito subito avremmo dovuto fermarci. Loro hanno risposto con un no comment, lì abbiamo capito che il materiale era vero».

 

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