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Paolo Giordano per il Giornale
Dopotutto gli slogan giovanili sono sempre stati usa e getta. Nascono, impazzano e poi spariscono nella memoria. Prima è stato il cinema, specialmente la commedia, e le battute di Totò o di Vianello o di Tognazzi venivano assorbite, rielaborate e piegate a tanti utilizzi diversi nel linguaggio delle compagnie di studenti.
Poi è arrivata la televisione. Semplificando, per chi era adolescente negli anni Ottanta, il collettore di battute e tormentoni verbali/goliardici è stato innegabilmente Drive In con una sterminata quantità di modi di dire (da «Has Fidanken» di Gianfranco D'Angelo a «Porco il mondo che c'ho sotto i piedi!» di Giorgio Faletti, tanto per citarne un paio tra decine).
È sempre stato così: i giovani sono il motore più potente dell'evoluzione dell'idioma. Oltretutto, nell'ultimo mezzo secolo, i volani massmediali hanno spalmato i nuovi «modi di dire» su ogni generazione con una costanza statisticamente implacabile.
Però negli ultimi tempi, diciamo ultimissimi, è cambiato il veicolo. C'è un altro diffusore linguistico. Per la prima volta la zecca del nuovo dizionario giovanile italiano sono si trova nel rap e nella trap. Oggi tra gli adolescenti è più facile sentire la battuta «ma quanto sono british!», lanciata dai romani Dark Polo Gang, piuttosto che qualche altro tormentone comico mutuato da personaggi tv o cinematografici (eccezion fatta per Checco Zalone).
Ormai la musica rap e trap si diffonde tra i ragazzi attraverso circuiti spesso sconosciuti o inavvicinabili dai genitori (che hanno meno confidenza con Spotify o YouTube o Instagram) e questo aggrava la loro consueta e fisiologica incomunicabilità con i figli. Insomma, il gergo adolescenziale discende direttamente dalla musica, e questa è una novità decisiva.
La famiglia prima aveva potenzialmente accesso alla tv o al cinema seguiti dai giovani. Ora, complice la frenetica turbolenza digitale, spesso ai genitori sfuggono anche i principi elementari per raggiungere o decifrare i codici linguistici della nuova generazione. Prendete le Instagram Stories. Come ha detto Paola Zukar, una delle menti più lucide dietro al rap italiano, «la trap è perfetta per le Instagram Stories».
E, per capirci, oltre a essere protagonista di una serie prodotta da Tim Vision, la Dark Polo Gang è attivissima su Instagram. E uno della band, ossia Tony F, in una delle puntate di La nuova scuola, prodotta da Noisey, spiega così che cosa sta accadendo: «Mi seguite ogni giorno 24 ore su 24 come tua mamma con un Posto al sole, come tua nonna con Avanti un altro, come tuo zio con Striscia la Notizia o tuo fratello con Le Iene».
Insomma, se i giovanissimi sono meno attratti dalla tv, sono i social network e i loro eroi (spesso i rapper o trapper) a creare il nuovo linguaggio e pazienza se qualcuno (molti) tremano anche solo all'idea. Perciò il «Ricchi per sempre» di Sfera Ebbasta oggi è un passepartout giovanile, esattamente come sta diventando un tormentone l'immagine erogena di Emis Killa in Rollercoaster «il tuo corpo è una giostra e non voglio scendere», in sostanza l'evoluzione sensuale dell'altrettanto famoso verso di Coez «ho una scuola di danza nello stomaco» (da La musica non c'è). E se ai padri lo slogan di Danti «Troppo commerciale» può richiamare il «troppo giusto» del paninaro Enzo Braschi a Drive In, in realtà appartiene a un altro mondo. Una volta la musica raccontava l'amore oppure le idee, oggi spesso è «solo» una fotografia della vita, con dosi di ironia colorita o ingenuità talvolta disarmante.
E, a differenza di quanto avveniva con i cantautori, la scelta delle parole è spesso gergale, quasi a coniare uno slang difficilmente traducibile. Quanti over 30 sanno che il neologismo «Bufu» è entrato nel Dizionario Treccani? Molti nemmeno ne conoscono il significato, nonostante magari sia utilizzato dai propri figli. Bufu è l'acronimo di By us fuck you, ossia «per quanto ci riguarda vaff...», è stato lanciato dalla Dark Polo Gang ed è sostanzialmente una delle password per accedere a tribù under 20 che sfuggono persino ai radar dei sociologi.
In poche parole, da Enzo Dong (Gucci rubate) al Ghali di Cara Italia, il nuovo linguaggio gergale assorbe nuove matrici destinate ad amalgamarsi con i codici già esistenti. È cambiato il veicolo, e, almeno in questo, per la prima volta la musica supera la tv o il cinema. Ma rimane intatto lo smarrimento di chi si trova a decifrare questo nuovo dizionario pronto a diventare italiano.
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