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Giuseppe Pollicelli per “Libero quotidiano”
Fosse per Ruggero Deodato, lo sbranerebbe. A Eli Roth, 43enne regista statunitense con una manciata di film all’attivo (i più noti sono i due capitoli della saga horror-splatter Hostel), converrà quindi tenersi per un po’ alla larga dall’Italia, quantomeno fino a quando il suddetto Deodato non avrà sbollito la collera. Ruggero Deodato, classe 1939, è un decano del nostro cinema di genere e nella sua filmografia figurano oltre venti lungometraggi.
Uno di questi, girato nel 1980, ha a che fare con il suo risentimento nei confronti di Roth: si tratta di Cannibal Holocaust, pellicola maledetta se mai ve ne furono e attorno alla quale è sorto un vero e proprio culto. È notizia di questi giorni che l’ultima opera cinematografica di Roth, dopo varie traversie, ha finalmente trovato chi ne curerà la campagna promozionale e dunque ne è stata annunciata l’uscita negli Usa per il prossimo 25 settembre. Ora, tale opera s’intitola Green Inferno e, secondo Deodato, ha in buon parte fagocitato - è il caso di dirlo - il suo vecchio Cannibal Holocaust.
Il tutto senza che il regista italiano venisse minimamente coinvolto nell’operazione e neppure avvertito del suo svolgimento. Roth, come da copione, respinge le insinuazioni e, ribadita la sua ammirazione per Cannibal Holocaust («Lo adoro, è uno dei miei film preferiti»), prova a darsi un tono affermando di aver voluto fare «qualcosa che somigliasse a un film di Herzog».
Argomento che non ha convinto Deodato, il quale, in un’intervista concessa mesi fa alla rivista Nocturno, ha pacatamente commentato così: «Sì, va beh, lui cita Herzog per fare l’intellettuale del cazzo, per liberarsi dallo spettro di aver rifatto Cannibal Holocaust, di avere inculato Ruggero, di non averlo nemmeno avvisato…».
Eppure un tempo i due sono davvero stati amici, come dimostrano varie foto che li ritraggono assieme. Una cosa è certa: gli indizi parlano contro Roth. Anche volendo ignorare che Green Inferno è il titolo di un finto documentario inserito all’interno di Cannibal Holocaust, basta confrontare le trame. Cannibal Holocaust: quattro giovani reporter raggiungono la giungla brasiliana per filmare delle tribù che praticano il cannibalismo, ma queste fanno fare loro una brutta fine (peraltro, va detto, abbastanza meritata).
Green Inferno: alcuni studenti ambientalisti si recano da New York nell’Amazzonia peruviana per salvare una tribù locale dall’estinzione, ma vengono catturati dagli indigeni cannibali. Fate voi. Oltreché scampare all’ira funesta di Deodato, la grande sfida di Roth sarà in verità quella di reggere il confronto, a 35 anni di distanza, con il modello italiano.
La sinistra fama di Cannibal Holocaust, più o meno unanimemente ritenuto il miglior titolo del cosiddetto filone cannibalico (una decina di film realizzati in Italia tra il 1972 e il 1985, con il picco tra il 1977 e il 1980), è infatti legata all’inaudita truculenza di gran parte delle sue scene, le quali includono anche l’uccisione reale di alcuni animali fra cui scimmiette, maialini e una tartaruga gigante (Deodato giura che le bestie vennero poi tutte mangiate o dalla troupe o dagli indigeni).
Tali efferatezze causarono il sequestro del film, in Italia, dal 1980 al 1984, ma in Giappone e altrove, nel frattempo, Cannibal Holocaust incassava un sacco di soldi. Tra le ragioni che lo hanno reso un cult movie bisogna anche ricordare la colonna sonora di Riz Ortolani - in particolare il soave e straniante tema principale - e, indubbiamente, la presenza tra i protagonisti di un allora 24enne Luca Barbareschi, il quale ha dichiarato di non aver provato nessun rimorso a far fuori un maialino ma di avere avuto in seguito qualche grana con gli animalisti. Difficile, con simili premesse, che Roth possa fare di meglio. Al di là dell’arrabbiatura di facciata, niente di più facile che Deodato, potentino di nascita ma romano d’adozione, stia pensando tra sé e sé: «Eli Roth? Me lo magno!».
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