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“REPORT” VS I FOOD BLOGGER - "CHIARA MACI E’ IMPROVVISAMENTE DIVENTATA BELZEBU’: BUON PER LEI, COSI’ INCREMENTA ULTERIORMENTE SIA IL NUMERO DI FOLLOWER CHE IL CONTO IN BANCA" - IL CRITICO MASCHERATO DEL CORRIERE VALERIO VISINTIN E I CONFLITTI DI INTERESSI DEGLI INFLUENCER - VIDEO

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http://www.report.rai.it/dl/Report/puntata/ContentItem-675159a0-2a6b-4011-a40f-8c14b10709bc.html

 

Cristiana Lauro per Dagospia

 

CHIARA MACICHIARA MACI

Il trend enogastrofolle, almeno per ora, non toglie il disturbo. Report su Rai 3 ha dedicato la scorsa puntata agli influencer che un tempo si chiamavano food blogger e oggi guadagnano un sacco di soldi dagli sponsor. La faccenda è dichiarata, quindi trasparente e il successo di follower dipende dalla credibilità dell'influencer.

 

Valerio M.Visintin aveva già sollevato il problema con un divertente articolo sul corriere.it uscito durante Vinitaly, la fiera del vino di Verona che ha visto come ultima novità l'intuibile approdo delle influencer, a mazzi di dieci.

 

Ma Chiara Maci, influencer per antonomasia, è improvvisamene diventata belzebù. Buon per lei, così incrementa ulteriormente sia il numero di follower che il conto in banca attraverso quella che oggi, piaccia o meno, è un'attività a tutti gli effetti. E molto più pulita di altre, se davvero vogliamo sgranare il codice etico di cui si riempiono la bocca i signori giudici degli affari altrui, a cominciare dai commentatori sui social, avvezzi a chiosare con allusioni personali in salsa di insulti e parolacce.

REPORT FOOD BLOGGERREPORT FOOD BLOGGER

 

I giornalisti che si occupano del settore enogastronomico hanno subito tagli drastici negli ultimi tempi, fino a considerevoli riduzioni dei rimborsi spese, cosa che, comprensibilmente, finisce per compromettere la produzione dei contenuti necessari a veicolare la vendita del prodotto editoriale. Un circolo vizioso che, in fine, pregiudica la credibilità del professionista. Perché se il pranzo è offerto, l'albergo pure - e non mi spingo oltre con l'immaginazione - non è così difficile inclinarsi all'idea che il prodotto editoriale che ne consegue sia condizionato da questo rapporto di scambio.

 

Ma le cose vanno così e se qualcuno è inadeguato o passivo nello svolgimento della salvifica arte dell' interpretazione del presente in previsione degli eventi futuri, non sarà certo colpa di Chiara Maci, la quale, fra i molti che hanno tentato lo stesso tipo di exploit senza riuscirci, si è rivelata la più scaltra, la migliore. Colei che ne è venuta a capo per prima e con l'utilizzo del minor numero di mezzi possibili. Si chiama intelligenza, tutto qua. 

 

CHIARA MACICHIARA MACI

 

 

 

IL TUNNEL DELLA RECLAME

 

Da www.mangiare.milano.corriere.it

 

 

Anniversario della Liberazione. In un giorno così, bisognerebbe volar alto; parlare di valori e di ideali.

Invece, per colpa di Bernardo Iovene, mi tocca buttar giù qualche riga per riassumere il miserevole coacervo di circoli viziosi svelato nella puntata di Report in onda ieri sera.

Non è facile spiegare. Vi chiedo un po’ di pazienza.

 

Dunque. Le aziende hanno ridotto all’osso gli investimenti sull’editoria tradizionale perché questa è in crisi di idee e di credibilità.

Ma l’editoria tradizionale è in crisi perché non si regge in piedi senza quegli investimenti, dato che la carta non vende più e il web non viene monetizzato convenientemente.

Gli editori, costretti al risparmio, non assumono più e pagano i collaboratori con mancette irrisorie.

 

I giornalisti, allora, per poter campare, debbono svendersi alle aziende a vario titolo, violando il rapporto fiduciario col lettore.

REPORT SIGFRIDO RANUCCIREPORT SIGFRIDO RANUCCI

Anche per questa ragione, non sono credibili. Le aziende, subodorando la deriva dell’intera categoria, preferiscono impiegare i loro quattrini per foraggiare le influencer, un esercito di professioniste della réclame, che costruiscono contenuti (svendendo all’occorrenza anche la vita privata) al solo scopo di ficcarci dentro un pugno di pubblicità.

 

Naturalmente, questa pubblicità non è dichiarata. È surrettizia. È un cavallo di Troia. Viene abilmente patinata e ricamata in modo da apparire come un amichevole consiglio. Lo rivelano loro stesse, confessando a Iovene che “se la pubblicità è indiretta, incuriosisce di più”.

D’altra parte, chi non è giornalista non è tenuto a rispettare alcuna norma deontologica. Ognuno fa come cavolo gli pare.

 

E, tuttavia, per necessità o per svacco generale, fanno come cavolo gli pare anche i giornalisti, ridacchiando se mettono i piedi nel pantano dei conflitti di interessi, che dovrebbero costituire territorio minato per chi fa questo mestiere.

VALERIO VISINTINVALERIO VISINTIN

Il dato certo è che più crescono gli investimenti sul lato oscuro della comunicazione, più decrescono i quattrini destinati all’editoria pura; quella che separa la pubblicità dai contenuti. Tirando le somme: più sale l’alta marea del romanzo pubblicitario, più si ritrae, si inquina, si distorce l’informazione.

 

Sono torsioni che certamente non si limitano al mondo del food. Ma che in questo ambito hanno quasi raggiunto il punto di saturazione.

E io? Io mi sento come dentro a un tunnel. La sola via d’uscita è l’omologazione all’andazzo corrente. E come? Ho debiti sin sopra al passamontagna e non posso certo aprire un ristorante assieme a un cuoco di grido. Ma sono ancora in tempo per garantirvi che i paccheri del pastificio Puzzettìn sono il supporto perfetto per il sugo pronto Mangialbèn!

Addio.

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