DAGOREPORT - BLACKSTONE, KKR, BLACKROCK E ALTRI FONDI D’INVESTIMENTO TEMONO CHE IL SECONDO MANDATO…
Alberto Mattioli per ‘La Stampa’
Riccardo Chailly, domani dirigerà la prima della Scala. Emozione?
«Direi soddisfazione. Il lavoro fatto, che è stato molto, sta dando i suoi frutti».
Perché inaugurare con «Andrea Chénier»?
«Perché è una bellissima e difficile partitura. Perché manca alla Scala da trentadue anni.
Perché è un' opera che è nata qui. Perché c' è tutto un repertorio, italiano e scaligero, che Milano non può e non deve trascurare. L' importanza storica e musicale dello Chénier è almeno pari a quella di Cavalleria rusticana ».
L' ultimo a dirigere «Chénier» alla Scala, nel 1985, fu proprio lei. Com' è cambiata la sua visione dell' opera?
«Ho ricominciato tutto da capo: è stato un percorso radicale di rilettura. Anche perché, su un' ottantina di professori, ce ne sono soltanto otto che hanno suonato quello Chénier con me, quindi l' opera per l' Orchestra della Scala è nuova. Io sono ripartito da zero. Certamente nella mia lettura si sente tutta la musica che ho diretto negli ultimi trent' anni».
Lei ha sempre rivendicato la bellezza di Chénier.
«Secondo me, è un dato di fatto. Certo, si tratta anche di rileggere Chénier , sia dal punto di vista musicale che da quello scenico, con occhi contemporanei, evitando l' enfasi retorica, la routine, un certo autocompiacimento vocale che pure fanno parte della storia interpretativa dell' opera. L' importante è eseguirla com' è scritta, non concentrandosi sulle sei romanze più celebri ma valorizzando anche la musica che le collega. Per apprezzare la ricchezza di una partitura in realtà raffinata, piena di echi e citazioni, dal Tristan che viene proprio citato letteralmente ai concertati di Otello . Per questo voglio che non ci siamo interruzioni, niente applausi dopo le romanze».
E se cominciano, che farà?
«Tirerò dritto».
Lei citava «Cavalleria». In comune, Giordano e Mascagni hanno anche il fatto di non aver più replicato i loro clamorosi successi di gioventù.
«Una risposta univoca non c' è. Ma Giordano è sempre vincente nella scrittura musicale. Mi affascina Siberia , che ha una scrittura originalissima».
La riporterà alla Scala?
«Sono d' accordo con Alexander Pereira nella volontà di riportare il repertorio cosiddetto "verista" alla Scala: perché è casa sua, è il suo teatro. Ci sono progetti importanti benché non legati alla mia persona».
Cosa c' è di cinematografico nella drammaturgia di Giordano? L' epoca è quella dei primi film.
andrea chenier al teatro dell’opera di roma ,
«Sicuramente Giordano fu influenzato dal cinema. Colpisce la sua abilità nell' isolare singoli momenti o personaggi, come se dalla folla di un campo largo si passasse improvvisamente a un primo piano. Puccini fa lo stesso in Bohème : lui e Giordano si sono reciprocamente influenzati. Non c' è dubbio per esempio che in Chénier ci siano delle anticipazioni di Tosca . Giordano poi era personalmente affascinato dalla modernità, dal cinema e dal disco».
Parliamo di politica. L' opera inizia, diciamo così, dalla parte della Rivoluzione. Poi però condanna il Terrore e porta lo spettatore a simpatizzare con gli aristocratici braccati.
«Il personaggio politico è Carlo Gérard, prima ribelle e poi sgomento per la deriva sanguinaria e dittatoriale della Rivoluzione, per un potere che diventa abuso e, nel suo caso, anche un tentativo di abuso sessuale. Questo tema del potere che trascende i suoi limiti e tradisce le sue ragioni ideali mi sembra molto contemporaneo».
Lei sa che tutti aspettano al varco il protagonista, il tenore Yusif Eyvazov. Inquietudini?
«Credo che la risposta stia nel grande lavoro di concertazione, capillare, minuzioso, che abbiamo fatto. La sua è una voce drammatica ma capace di modulare, di sfumare e di dare il giusto rilievo al testo di Illica. Spero non lo tradisca l' emozione. Credo che Eyvazov, Anna Netrebko e Luca Salsi siano tutti e tre all' altezza della musica di Giordano».
Lei ha inciso «Chénier» in studio con Pavarotti, Caballé e Nucci.Ma esiste anche il dvd dell' ultima ripresa alla Scala, quando diresse Carreras, Marton e Cappuccilli. Quale delle due preferisce?
«Non riascolto mai me stesso. Non rinnego nulla, ma volutamente non ho riascoltato né il cd né il dvd. Se però dovessi suggerire un' incisione dell' opera, sarebbe quella realizzata proprio alla Scala nel 1941 con Gigli, Caniglia e Bechi diretti da un giovane Oliviero De Fabritiis. Dischi remoti nel tempo, ma dove si ascolta la nobiltà di un canto lontanissimo dall' autocompiacimento e dall' enfasi, quasi belcantistica: e del resto la Caniglia, che ho conosciuto e frequentato, lo confermava».
Ultima domanda: perché ha deciso di inaugurare la prossima stagione con «Attila» di Verdi?
«Perché è una grande opera che desideravo affrontare da molti anni. Ho già diretto alla Scala Giovanna d' Arco , diciamo che sono due tasselli di un progetto importante sul giovane Verdi. Il cast che abbiamo è prestigioso, con voci adatte, quindi perché no?».
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