DAGOREPORT - BLACKSTONE, KKR, BLACKROCK E ALTRI FONDI D’INVESTIMENTO TEMONO CHE IL SECONDO MANDATO…
Marco Giusti per Dagospia
“Mi sono persa”. Eravamo appena usciti da una Alba Rohrwacher truccata da Alida Valli, diretta da Saverio Costanzo, e ce la ritroviamo truccata da Monica Vitti, diretta da Roberta Torre. Altra scelta precisa per il progetto di iper-femminilizzazione del Rome Film Fest dopo l'esordio della Cortellesi/Magnani.
Ora. Siamo abituati da tempo all’originalità e al talento di Roberta Torre, che ritroviamo anche in questo stravagante, un bel po’ geniale e un filo sballato, “Mi fanno male i capelli”, film non facile da definire, perché non è un biopic né un omaggio alla star Monica Vitti e al suo cinema, ma, diciamo, una sorta di complesso ragionamento sul decadimento mentale di una donna, Monica, interpretata da Alba Rohrwacher, non sappiamo se attrice o no, che trova nella figura e nella malattia degenerativa della Vitti una sorta di altra vita possibile da configurarsi come alternativa alla propria.
Gioco di specchi continuo, raddoppiato e triplicato dai tanti modelli recitativi dell’attrice, da musa di Antonioni a partner di Alberto Sordi, Monica, perduta sulla spiaggia di Sperlonga con la musica favolosa di Shigeru Umebayashi, riprende dal cinema della Vitti una serie di femminilità possibili da poter vivere e rivivere come doppi, o come riempitivo di una memoria che sta completamente svanendo. Mentre il povero marito Edoardo, Filippo Timi, precipita nello sfacelo di una vita, non solo di coppia, che non riesce più a controllare, alternando la follia del gioco del karaoke cinematografico, Timi-Mastroianni, Timi-Delon, al disastro economico.
La casa a Roma che hanno perduto, la casa al mare a Sperlonga, dove si svolge il film, che sta svendendo al torvo Maurizio Lombardi. Come una Norma Desmond all’italiana che si veste/riveste, si tinge i capelli di nero/di biondo inseguendo i modelli di un cinema lontano, Alba Rohrwacher si offre con un grande candore alla cura di Roberta Torre nel ricostruire un modello di attrice e di donna che dominò il cinema italiano degli anni ’60 con i capolavori di Antonioni e i grandi film popolari della commedia del tempo.
Ma a colpirci è forse ancor più il disfacimento del suo uomo, Timi, non in grado di aiutarla. A una prima parte molto bella e molto sperimentale, dove siamo davvero colpiti dal giro della morte messo in scena dalla regista, la memoria che svanisce alle prese con la nostra memoria cinematografica, il ruolo della donna nel nostro cinema fatto da maschi per maschi (come diceva Risi), segue una parte più banale dove il gioco del karaoke con i film di Vitti e Sordi funziona di meno, ma non era facile arrivare alla fine di un gioco narrativo dove la prima cosa che deve esplodere è proprio la memoria e la narrativa.
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