FLASH! - LA DISCESA IN CAMPO DEL PARTITO DI VANNACCI E' UNA PESSIMA NOTIZIA NON SOLO PER SALVINI,…
1. DAGOREPORT
Sanremo boom! 40.64 per cento con 11 milioni e 13 mila spettatori (lo scorso anno,Fabio Strazio si fermo’ al 33.95 con 7 milioni 710 mila fazisti).
2. SANREMO, ADDIO ALLA COMICITÀ
Angela Geraci per Corriere.it
Doveva essere la serata delle grandi ospiti, la dea Charlize Theron e la star barbuta Conchita Wurst. Avrebbe potuto essere addirittura anche la serata delle polemiche vecchio stile sanremese (per la partecipazione della cantante drag queen uno sparuto gruppo di ultracattolici si era mobilitato sul web e si temeva lo sbarco fisico a Sanremo).
Ma tutte e due C& C, Charlize e Conchita, sono sgusciate via attraverso la scaletta di Carlo Conti senza eccessivi picchi e senza intoppi, come da copione. Quel che resta da registrare davvero, invece, è che questa seconda puntata del Festival sancisce ufficialmente il flop della comicità all’Ariston.
Dopo le gaffe e la prevedibilità di Siani, arriva infatti il clamoroso tonfo di Angelo Pintus, ex Colorado. Il secondo comico chiamato da Conti per il suo Festival regala infatti i quindici minuti più agghiaccianti della chilometrica serata. Un solo tiepido applauso, poi tutto è un lungo e imbarazzante (e imbarazzato) silenzio da parte del pubblico (mentre in sala stampa qualcuno grida “basta” e implora pietà).
La scuola e i francesi antipatici
Pintus sale sul palco e dà subito dei vecchi babbioni a tutti quelli che lo stanno guardando. Voi non sapete chi sono, non mi conoscete - esordisce - ma i vostri figli invece mi amano. Mani avanti, insomma. Ma la mossa non attutirà il dolore della caduta. Fra vocine in falsetto e saluti ai bambini - neanche fossimo allo Zecchino d’oro o alla Prova del cuoco - il comico (?) quasi 40enne inizia il suo pezzo.
E parte da un tema a lui molto caro: la difficoltà di svegliarsi la mattina presto per andare a scuola. Il problema è serio, asserisce poco convinto pure lui, e svegliare i bambini alle 6 e 40 è «roba da Seconda guerra mondiale: “Ehi, alzati, ci sono i nazisti!”». In teatro, ma probabilmente anche nei salotti di chi guarda Sanremo, è gelo. Che si fa siberiano quando Pintus arriva a citare un Berlusconi che promette: «Se mi votate farò cominciare la scuola a mezzogiorno e mezzo». Niente.
I bambini, per sua sfortuna sono a letto già da un pezzo. Ma lui incassa in qualche modo e va avanti con quanto è noiosa la geografia, quanto siano inutili da studiare il greco e il latino. Ancora nessun segno di vita dal pubblico. Pintus si toglie allora la giacca e passa al secondo pezzo del suo monologo: la rivalità tra francesi e italiani, un tema ormai logoro. E giù con una sequela di triti luoghi comuni su quanto siano antipatici al di là del confine, sulla difficoltà di pronunciare per bene la parola croissant e via così.
IL MOMENTO SU CHARLIE HEBDO E GLI ATTACCHI DI PARIGI
A questo punto anche Carlo Conti da dietro le quinte si accorge che qualcosa non va e si affaccia sul palco per aiutare Pintus. Inutile: il comico è già quasi arrivato al fondo. Lo tocca quando, dopo una veloce imitazione dell’allenatore Antonio Conte (con riferimento al parrucchino), con un’inversione a U di tono attacca a parlare - funereo - degli attacchi di Parigi.
«È successa una cosa terribile poco fa qui vicino, potrebbe succedere anche qui da noi» sentenzia contrito per «i nostri fratelli francesi». Perché «non c’è cosa peggiore che uscire di casa e avere paura - spiega - e noi dovremmo rimanere bambini per sempre, sì perché loro non fanno differenza tra il bianco e il nero, loro sognano quando guardano le stelle mentre gli adulti cancellano i ricordi». È davvero troppo. Ma almeno è finita.
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Rocco Tanica salvatore
Per stordire ancora un po’ il pubblico, prima di andare via Pintus accenna perfino un’imitazione di Bruno Pizzul (sì sì, avete letto bene) e poi si eclissa dopo un ultimo «Ciao bambini!». Povero Carlo Conti, per lui così legato al mondo della comicità (dagli esordi all’amicizia con Panariello e Pieraccioni) non sarà facile metabolizzare la figuraccia anche del secondo ospite scelto per far ridere. Però alla fine ci pensa Rocco Tanica a risollevare l’umore e restituire senso e significato alla parola comicità con la sua surreale conferenza stampa. E domani è un altro giorno: tocca a Luca e Paolo.
2. SEMBRAVA IMPOSSIBILE, MA I COMICI DI SANREMO SONO RIUSCITI A ESSERE PEGGIORI DELLE CANZONI
Andrea Scanzi per Il Fatto
Sembrava impossibile, ma gli ospiti della prima serata di Sanremo sono riusciti a essere peggiori delle canzoni. I comici, soprattutto, e a definirli tali si corre già il rischio di esagerare. Ovvio non aspettarsi battute urticanti nell’edizione più rassicurante degli ultimi vent’anni.
Carlo Conti, professione “normalizzatore” di successo, ha accuratamente scelto ospiti disinnescati. I risultati gli hanno dato ragione, dunque probabilmente ha ragione lui. Viene però da chiedersi se davvero il “Festival della Canzone Italiana”, ammesso che tale dicitura abbia mai voluto dire qualcosa, non potesse offrire nulla di meglio. Fin dall’anteprima sembrava di essere carambolati in pieni anni Sessanta pre-cantautori.
L’enfasi di Conti nel presentare la reunion di Al Bano e Romina, quasi che stessero per esibirsi i Pink Floyd, era in questo senso pertinente: se la cifra deve essere l’anacronismo ostentato, un Al Bano può certo assurgere a Jimi Hendrix de noantri. Anche i comici sapevano di anacronismo: di anacronismo e di disinnesco. Battute deboli, facili, garbatissime. Che non dovevano ferire nessuno, anzitutto “le famiglie”.
E’ vero che l’Ariston è sempre stato così, ma in quello stesso palco ci sono pur sempre saliti anche Benigni, Grillo Crozza, contestato poiché “troppo politico”. Così, per non rischiare nulla, Conti ha scelto pesci ora piccoli e ora presunti grandi: l’importante era che nessuno di loro tentasse di andare controcorrente.
A tarda sera si sono avvicendati Boiler e Francesco Cicchella (Made in Sud): forse per l’ora e forse per i testi, se ne sono accorti in pochi. Molto meglio gli sketch di Rocco Tanica dalla sala stampa, che tra una crasi e l’altra ha pizzicato anche questo giornale. Per il resto, uno strazio. La quintessenza della banalità. Un sottogenere in cui, ultimamente, maramaldeggia Alessandro Siani.
Uno dei più grandi misteri della storia recente. Non ha talento accecante, non ha meriti evidenti, non pare granché attratto dall’originalità. Eppure funziona, al cinema e pare in tivù, e c’è perfino chi – assai meritevole di querela – lo paragona a Troisi. Forse la sua esilità qualitativa è lo specchio dei tempi e non ci meritiamo di meglio. O forse quel meglio ci sarebbe, ma non è abbastanza mansueto da meritare RaiUno.
Di Siani, in ogni film, colpisce una cosa: niente. Di Siani, in ogni monologo, colpisce una cosa: ride sempre alle sue battute, forse perché teme non ne arrivino altre. Perfino un amico, Gigi D’Alessio, ha ammesso: “Alessandro è bravo, ma noi napoletani sappiamo sempre molto prima la battuta che farà”.
Ecco: non solo i napoletani. Siani è affezionato alla prevedibilità come Linus alla copertina. Fu così nel monologo 2012, sempre a Sanremo, ed è stato così due sere fa. Pettinato da un manipolo incazzoso di cavalli troppo leccanti, Siani è stato criticato per la “battuta” sul bambino sovrappeso, ma era la cosa meno grave del monologo.
E – a quel che è stato rivelato ieri – neanche era una gaffe ma una battuta concordata (c'è comunque stata, dopo la puntata, la foto “riparatrice” tra Siani e il bambino). Siani, che ha meritoriamente devoluto in beneficenza il cachet e ricordato Pino Daniele, deve ringraziare le polemiche inutili: hanno messo in secondo piano la pochezza della sua performance.
Qualche esempio: “Stasera canterò una canzone di Boschi e Verdini, il “Pacco del Nazareno”; “Carlo (Conti) sei troppo nero. Se ti vede Salvini ti chiede il permesso di soggiorno. Obama in confronto a te è una mozzarella di Mondragone";“Signora, si sono rotte le acque!”, Chiamatemi l'idraulico”; “C'era un'Autoblu col seggiolone! E' la macchina di Brunetta”; “Ho mangiato il gelato al puffo. Ne ho mangiato un chilo, ho ruttato ed è uscito Gargamella”.
Qua e là, perle di saggezza: “Prima c’era la tivù in cucina, ora la cucina in tivù”. Spazio, infine, ai Melassa Moments: “Il turismo e il cibo sono l'oro di questo paese. Col cibo noi siamo i migliori al mondo. Noi ne capiamo”; “Tutti pensano che l'amore è la cosa più bella del mondo ma è il mondo che è la cosa più bella dell'amore”.
E via così, in un parossismo di banalità. In Rai si respira un desiderio tale di buoni sentimenti che, a furia di concepire la satira come una malattia da estirpare, la “comicità” televisiva sarà fatta solo di rutti e niente. Soprattutto niente.
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