NELL’ULTIMO LIBRO INTITOLATO “JOSEPH ANTON”, SALMAN RUSHDIE RACCONTA COME SI VIVE CON UNA FATWA SULLA TESTA - LO SCRITTORE, CONDANNATO A MORTE NELL’ ’89 DALL’AYATOLLAH KHOMEINI IN PERSONA PER “I VERSETTI SATANICI”, S’È VISTO AUMENTARE LA TAGLIA SULLA TESTA DI 500 MILA $: “VORREI AVER SCRITTO UN LIBRO PIÙ CRITICO SULL’ISLAM. MA SE LO FACESSI OGGI NESSUNO ME LO PUBBLICHEREBBE. GLI ESTREMISTI SONO CRESCIUTI DOPO LA PRIMAVERA ARABA”...

Vai all'articolo precedente Vai all'articolo precedente
guarda la fotogallery

1 - Da "La Repubblica"

Anticipiamo il brano di "Joseph Anton", l'ultima opera di in uscita oggi per Mondadori, in cui l'autore rievoca in terza persona la giornata in cui, il 14 febbraio del 1989, apprese della fatwa emessa nei suoi confronti.

"CONDANNATO A MORTE" COSÌ UNA FATWA HA CAMBIATO LA MIA VITA
Di Salman Rushdie (traduzione di Lorenzo Flabbi)

Era San Valentino, ma anche quel giorno non erano mancati gli screzi con sua moglie, la scrittrice americana Marianne Wiggins. Sei giorni prima gli aveva comunicato quanto il loro matrimonio la rendesse infelice, dicendo che "non si sentiva più bene al suo fianco", benché fossero sposati da appena un anno, e anche lui ormai sapeva che era stato un errore. Adesso era lì, a fissarlo, mentre lui si aggirava nervosamente per casa, tirava le tende e controllava i fermi delle finestre, il corpo elettrizzato dalla notizia come se avesse preso la scossa. Dovette spiegarle cosa stava succedendo. Lei reagì bene, e cominciò a riflettere sul da farsi. Usò il termine "noi". Un atto di coraggio.

Un'auto inviata dalla Cbs giunse davanti a casa. Lui aveva un appuntamento alla Bowater House di Knightsbridge, la sede londinese dell'emittente americana, per partecipare in diretta alla trasmissione del mattino, in collegamento via satellite. «È meglio che vada» disse. «È in diretta, non è che posso semplicemente non farmi vivo». Più tardi nella mattinata si sarebbe celebrato il servizio funebre del suo amico Bruce Chatwin nella chiesa ortodossa di Moscow Road, a Bayswater.

Non erano passati nemmeno due anni da quando avevano festeggiato insieme i suoi quarant'anni a Homer End, la casa che Bruce aveva nell'Oxfordshire. Ora Bruce era morto di Aids, e la morte stava bussando anche alla sua porta. «E il funerale?» chiese sua moglie. Non seppe cosa risponderle. Riaprì la porta d'ingresso, uscì, salì in macchina e si allontanò. Lasciò l'abitazione dove aveva vissuto nei cinque anni precedenti senza che quel congedo fosse carico di alcun significato particolare; non sapeva che non vi sarebbe più tornato per tre anni, e che a quel punto non sarebbe più stata casa sua.

Agli uffici della Cbs si accorse di essere diventato la notizia del giorno. In redazione e sui vari monitor tutti stavano già pronunciando la parola che presto gli sarebbe stata incatenata al piede come una palla di ferro. La utilizzavano come un sinonimo di "pena di morte" e lui, pignolo, voleva puntualizzare che in realtà voleva dire ben altro. Ma a partire da quel giorno il suo significato sarebbe stato quello per la maggior parte delle persone in tutto il mondo. E anche per lui. "Fatwa". "Informo il fiero popolo musulmano del mondo che nei confronti dell'autore dei Versi satanici, che è contro l'Islam, il Profeta e il Corano, e nei confronti di tutte le persone coinvolte nella pubblicazione del libro che ne conoscevano il contenuto è proclamata la condanna a morte. Chiedo a tutti i musulmani di giustiziarli ovunque si trovino".

Mentre lo scortavano verso lo studio televisivo per l'intervista, qualcuno gli diede una stampata del testo. Il suo vecchio sé provò l'impulso di puntualizzare ancora, in questo caso a proposito del termine "condanna". Era una sentenza pronunciata da una corte che non riconosceva, e che non aveva nessuna giurisdizione su di lui. Si trattava dell'editto di un uomo in là con gli anni, crudele e morente. Ma sapeva anche che le abitudini di quel suo vecchio sé erano ormai inutili. Ora aveva un nuovo sé. Era l'uomo nell'occhio del ciclone, non più il "Salman" che i suoi amici conoscevano, ma il "Rushdie" autore dei
Versi satanici, un titolo sottilmente distorto dall'omissione dell'articolo iniziale.

I versi satanici era un romanzo. Versi satanici, invece, dei versi che erano satanici, e lui ne era il satanico autore, "Satan Rushdy", la creatura cornuta sui cartelli dei manifestanti innalzati lungo le strade di una città lontana, l'uomo impiccato con la rossa lingua sporgente che compariva nei loro rudimentali disegni. «Impiccate Satan Rushdy». Con che facilità si cancellava il passato di un uomo e se ne costruiva una nuova, travolgente versione contro cui sembrava impossibile lottare.

Re Carlo I aveva negato la legittimità della condanna che pendeva sul suo capo. Ciò non aveva impedito a Cromwell di farlo decapitare. E lui non era un re. Era l'autore di un libro.
Osservò un giornalista che lo stava fissando e si chiese se fosse quello il modo in cui la gente guardava chi viene portato alla forca, alla sedia elettrica, alla ghigliottina. Un corrispondente straniero si avvicinò con fare amichevole. Lui gli chiese cosa pensasse di ciò che aveva detto Khomeini. Avrebbe dovuto prendere la cosa sul serio? Riteneva si trattasse che altro di una provocazione plateale e retorica o di qualcosa di realmente pericoloso? «Oh, non si preoccupi troppo» rispose il giornalista. «Khomeini condanna a morte il presidente degli Stati Uniti ogni venerdì pomeriggio».

In diretta, quando gli fu chiesto di replicare a quella minaccia, disse: «Vorrei aver scritto un libro più critico». Fu orgoglioso di quell'affermazione, lo fu allora e lo restò sempre. Era la verità. Non credeva che il suo romanzo fosse particolarmente critico nei confronti dell'islam, ma, come disse alla televisione americana quella mattina, qualche critica non poteva che fare bene a una religione i cui capi si comportavano in quella maniera.
Terminata l'intervista, gli comunicarono che sua moglie aveva chiamato. Telefonò a casa. «Non tornare qui» disse lei. «Ci sono duecento giornalisti sul marciapiede che ti aspettano». «Allora andrò in agenzia» rispose. «Fai una valigia e raggiungimi lì».

La Wylie, Aitken & Stone, la sua agenzia letteraria, aveva gli uffici in un palazzo con decorazioni di stucco bianco sulla Fernshaw Road, a Chelsea. Davanti all'ingresso non si era accampato nessun giornalista - evidentemente la stampa mondiale aveva ritenuto inverosimile che andasse a trovare il suo agente in un giorno come quello - ma quando entrò tutti i telefoni dell'edificio stavano squillando contemporaneamente, e ogni chiamata riguardava lui. Gillon Aitken, il suo agente letterario per l'Inghilterra, lo guardò sbigottito. Era al telefono con Keith Vaz, il parlamentare angloindiano rappresentante della circoscrizione di Leicester East. Coprì la cornetta con la mano e sussurrò: «Ci vuoi parlare?».

Al telefono Vaz disse che quanto era successo era "esecrabile, assolutamente esecrabile", e gli promise il suo "totale appoggio". Poche settimane dopo, quello stesso parlamentare sarebbe stato tra i principali oratori in una manifestazione contro I versi satanici a
cui parteciparono più di tremila musulmani, e avrebbe definito quella protesta "un grande giorno per la storia dell'Islam e della Gran Bretagna".

Lui si accorse di non essere in grado di pensare al futuro, di non avere nessuna idea di quale forma avrebbe preso la sua vita, assolutamente incapace di fare progetti.

 

2 - RUSHDIE: "RISCRIVEREI VERSI SATANICI MA OGGI NON SAREBBERO PUBBLICABILI"
Enrico Franceschini per "La Repubblica"

«Se riscrivessi oggi un libro come Versi satanici, probabilmente non verrebbe pubblicato, per timore di offendere l'Islam». Salman Rushdie parla del romanzo che gli procurò una fatwa, una condanna a morte islamica, sancita dall'ayatollah Khomeini in persona, e che lo costrinse a vivere per 13 anni sotto falso nome e sotto la protezione 24 ore su 24 dei servizi britannici.

Su quella esperienza, lo scrittore anglo-indiano pubblica in questi giorni a Londra un memoir autobiografico: Joseph Anton, la falsa identità da lui scelta all'epoca della vita clandestina (composta dal nome di battesimo dei suoi due scrittori preferiti, Conrad e Cechov), 630 pagine di ricordi personali e di riflessioni. Nel 2002 l'Iran ritirò la fatwa e Rushdie tornò a un'esistenza più normale, ma la minaccia non si è mai estinta del tutto e una fondazione iraniana l'ha riaccesa in questi giorni portando a 2 milioni di dollari la ricompensa offerta a chi lo eliminasse.

Con il senno di poi, dice Rushdie nelle interviste con il Guardian Bbc che accompagnano il lancio del nuovo libro, avrebbe voluto scrivere un libro «ancora più critico». «Ma la forma estremista dell'Islam è cresciuta dopo la Primavera Araba», osserva lo scrittore, citando la risposta al film L'innocenza dei musulmani. «Quel film è spazzatura», dice Rushdie, «ma non si può ritenere l'America responsabile di tutto quello che accade dentro ai suoi confini». Quale è la soluzione? «Essere coraggiosi. Difendere il principio che libertà significa poter dire e scrivere quello che uno pensa».

 

COPERTINA DEL LIBRO "JOSEPH ANTON" DI SALMAN RUSHDIESalman Rushdiekhomeini scia di persiarushdie salman LakshmiPROTESTE ARABEPROTESTE CONTRO IL FILM CHE PRENDE IN GIRO MAOMETTO jpegPROTESTE AL CAIRO IRAN PROTESTE CONTRO IL FILM SU MAOMETTO jpeg