
FLASH! - IL DILEMMA DI GIORGETTI: IL CAPO DELLE PARTECIPATE DEL TESORO E SUO FEDELISSIMO, MARCELLO…
Michele Smargiassi per "La Repubblica"
à nei vagoni della metropolitana che l'angelo di Wim Wenders, nel Cielo sopra Berlino,
avvicina i passeggeri per leggerne i pensieri. à quello il posto giusto. Nel tempo sospeso del viaggio sotterraneo, sempre troppo breve e troppo lungo, nella forzosa immobilità del pigia-pigia, i pensieri strizzano via dall'anima liberi, senza briglie. Quasi si vedono affiorare sulla pelle. Antonio Monda li ha visti.
à sceso Nella città nuda (Rizzoli, 214 pagine, 21 euro), la non-città dove si è nudi, cioè indifesi, con la guardia abbassata. Ne è risalito con una valigia piena di pensieri, di storie "ascoltate" senza bisogno di parlare con nessuno. Storie immaginarie? Sì, e anche no. Nel grande numero, nulla vieta che alcune di quelle storie siano proprio così, nella realtà .
Scrittore, docente, giornalista per Repubblica, ora sappiamo anche fotografo, Monda viaggia da vent'anni nella subway della sua città . New York.
Da qualche tempo ha con sé un iPhone. Aggeggio tentatore, che freme in tasca per fissare immagini che altrimenti sfumerebbero in un battito di palpebre. Ruba i profili dei suoi compagni di viaggio, inconsapevoli di lui. Soprattutto di prima mattina (ma non ci sono ore giorni né stagioni là sotto).
Come sceglie i suoi esemplari? Non ce lo dice, ma c'è sempre qualcosa, un segno, un particolare, che lo chiama: un vestito, una posa che innesca la storia. Monda inventa un nome a tutti, a tutti regala un flusso di coscienza. Fonde il prelievo e l'ipotesi, le immagini reali e le identità putative di una Spoon River di viventi: Douglas il giornalista, Langston il poeta, Moose il Pugile, Larissa la moglie tradita e altre decine ancora.
Altri scesero e scenderanno ancora nella metropolitana, miniera di esistenze, con un occhio di vetro, cercando qualcosa. Di recente, in Tokyo Compression, il tedesco Michael Wolf ci ha dato una visione claustrofobica di corpi pigiati nei vagoni della
tube di Tokyo, facce schiacciate contro il vetro, nasi appiattiti, guance piallate. Ma il primo fu Walker Evans, artista del documento. Negli anni Trenta, fotocamera sotto il paltò, obiettivo mascherato da bottone, sedeva nei vagoni e mirava, alla cieca, i suoi soggetti inconsapevoli.
Lo affascinava il fatto che, nel luogo a più alta concentrazione umana della sua epoca, «ogni esistenza individuale resta unica come un fiocco di neve in una bufera», ed è anche il luogo dove questa unicità si mostra «senza maschera, più ancora che in camera da letto, dove ci sono gli specchi». Ci vollero più di trent'anni prima che un editore capisse quant'erano rivoluzionarie quelle foto. Il libro si chiamò, biblicamente, Many Are Called.
Evans, però, si fermò sulla soglia del volto sognante, attonito, assonnato dei suoi compagni di carrozza. Lasciò a noi l'avventura di esplorare oltre. Monda varca quella soglia. A dire la verità , non è il volto il suo ingresso. I volti dei sui "chiamati" non si vedono quasi mai. Coperti, girati, sfocati. Un volto è un testo invadente, troppi limiti all'immaginazione. L'angelo socchiude gli occhi per ascoltare meglio. Anche la fotografia può essere un ostacolo: la fotografia nitida e dettagliata.
La smartphonegrafia aiuta Monda con le sue imprecisioni, con l'irrealtà dei suoi colori sotto le luci al tungsteno, con la scarsa controllabilità dell'inquadratura "a mano tesa". Gli lascia campo libero. E lui lo lascia a noi. I personaggi che ci propone sono solo uno dei possibili cast di un "romanzo del sottosuolo": li possiamo accettare, rifiutare, variare a nostro piacimento. L'autore non se ne offenderà . Anzi, ci invita a farlo. Il libro si apre e si chiude con sequenze di pagine di sole fotografie, senza storie. Come puntini di sospensione, come spazi da riempire di un modulo infinito che si chiama genere umano.
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