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Marco Giusti per Dagospia
E' finita come doveva finire. 50 per cento di share per l'ultima puntata di "#ilpiùgrandespettacolodopoilweekend" e l'immortalità su You Tube con l'esecuzione live di Roberto Benigni, featuring Fiorello, del capolavoro bombolesco "L'inno del corpo sciolto".
Bugiardissimo Roberto che ha detto di non averla mai cantata in tv. L'aveva fatta già con Arbore nel 1979, anche se il live più divertente è quello ripreso nel tour dei primi anni '80 e finito poi nel documentario di Giuseppe Bertolucci "Tuttobenigni" (1983), dove Roberto lo introduce col geniale:
"Tratto dall'LP Amore lavati, vorrei presentarvi L'inno del corpo sciolto. Questa canzone dice... parla che bisogna fare la popò, dice che bisogna farne parecchia... che più se ne fa e meglio è. Dice anche questa canzone, che, se non si fa, si può anche schiantare. Un'altra cosa triste dice questa canzone, che... dopo fatta la popò, ... bisogna pulissi dietro, perché non è bello andar in giro sudici in quella maniera. Ora ve la faccio ascoltare, siete magnifici".
Certo, è diverso cantarla di fronte a Arbore sulla vecchia Rai2, di fronte ai ragazzi da Festival dell'Unità negli anni '80 e in prima serata su Rai1 di fronte a Mauro Mazza, a tutta la dirigenza Rai, a vip a sorpresa (da Renzo Rosso a Paolo Sorrentino) e a milioni di italiani. Ma ci voleva la fine di Berlusconi per darle un nuovo senso politico (nel 1983 c'era ancora Berlinguer...) e di liberazione collettiva, ci voleva Fiorello al 50 per cento per sdoganarla su Rai1 e ci voleva il confronto diretto con Zalone e i suoi sketch scatologici censurati su Canale5 per puntare finalmente sul politicamente scorretto almeno all'ultima puntata.
Certo, il Benigni di oggi non è lo stesso di venti o trenta anni fa. Neanche noi, del resto, siamo gli stessi. Questi ultimi diciotto anni berlusconiani ci hanno profondamente cambiati, logorati e invecchiati. In qualche modo l'invecchiamento di Benigni ieri sera, la sua stanchezza, rispetto ai suoi grandi monologhi in tv, alla sua incredibile energia negli spettacoli live, lui è stato davvero il primo a farli in Italia, il primo a riempire piazze e palazzetti da solo spianando la strada a tutti, erano il nostro invecchiamento e la nostra stanchezza.
Ritornare all'Inno del corpo sciolto, allora, oltre che risposta scorretta al Fratelli d'Italia cantata proprio da Roberto a Sanremo col suo anatema finale integrale ("cacone, merdone, stronzone, la merda che mi scappa si sparga su di te"), è stato un tuffo nel come eravamo e nel come siamo oggi, molto più forte dello stesso monologo di Benigni sull'era Berlusconi. In qualche modo ovvio e superato. Anche se la battuta ripetuta più volte "non c'è più" ha fatto il suo giusto, grande effetto.
Ancora più forte se pensata di fronte a una platea in gran parte ancora (ma per quanto?) berlusconiana. E l'ingresso cantando "La porti un bacione a Firenze", con triplo omaggio, alla sua città , a Fiorello ("perdoni lei è di Fiore? Sì, lo so..."), a Odoardo Spadaro che la cantò al Musichiere di fronte a Mario Riva, era qualcosa di magistrale che riportava Benigni al nostro Novecento, a Carlo Buti a un'era pre-televisiva da dove tutti si può ricominciare a vivere.
Se provavamo un certo imbarazzo nel vedere Fiorello ascoltare il monologo di Benigni senza un ruolo predisposto (ovvio tutto lo show vede Fiorello al centro, toglierlo da lì cambia ogni assetto), va detto che Benigni ha ricordato due qualità dello showman, la grazia e la leggerezza, sulle quali non si può non essere d'accordo. E' di grazia e di leggerezza che questo paese ha bisogno dopo questi vent'anni terribili che abbiamo passato. Fossero anche quelli di uno show televisivo.
2- E BENIGNI RESTÃ ORFANO DI BERLUSCONI...
Aldo Grasso per il "Corriere della Sera"
Dopo le lacrime di Elsa Fornero, le risate di Fiorello e Benigni. L'Italia è fatta così, sempre sospesa fra il pianto e il riso, tra lo spread e lo share: i due grandi eventi televisivi dell'anno - la manovra «lacrime e sangue» da 20 miliardi suggellata dal pianto del ministro e la riscoperta del varietà classico con record d'ascolti - si sono rincorsi in un misterioso gioco di casualità , coincidenze e analogie al contrario.
Se domenica sera ci leccavamo le ferite per i tagli, ieri sera ci siamo già abbandonati alle parodie di Fiorello (Fornero, Monti, Vespa), alla contentezza di Jovanotti (uno che guarda sempre il bicchiere mezzo pieno, comunque, cosciente di essere un peso leggero), ai passi di danza di Roberto Bolle sulle note di All By Myself. à vero, Fiorello sa interpretare come pochi lo spirito nazionale, l'unica cosa che ci tiene insieme, destra e sinistra, profilattici compresi: la nostra meravigliosa semplicioneria sentimentale, quella fatuità dolce che ci strappa una risata anche nei momenti peggiori.
Ma l'attesa era tutta per Roberto Benigni che si presenta con una vecchia hit di Odoardo Spadaro, La porti un bacione a Firenze e continua, un po' spento, rifacendo gli sketch di Fiorello. Però qualcosa su Berlusconi bisognava pur dirlo, da grande orfano, e così è partita la gag dell'aria nuova: «L'Italia prima che Berlusconi si dimettesse aveva due grandi problemi: ora ne è rimasto uno solo», «Monti è onesto: è ricco di suo, Berlusconi era ricco di nostro» e via con altre battute sulle principesse sul pisello.
E se la Camusso vuole celebrare l'uscita di scena di Berlusconi come nuova festa della Liberazione, la liberazione cui si riferisce Benigni è un'altra: «Noi ci si svegliamo e dalla mattina, il corpo sogna sulla latrina, e le membra posano, in mezzo all'orto, è questo l'inno, l'inno sì del corpo sciolto...». Dopo l'inno, Roberto si affranca con un'orazione civile di stampo pertiniano.
#Ilpiùgrandespettacolodopoilweekend è stato uno show che ci ha riconciliati con la professionalità . Che consiste poi nel fare e nel vedere in modo eccezionale, con uno stato d'animo diverso, la tv del normale. Per la gioia dei complottisti e dei rosiconi che potranno vedere in queste convergenze un efferato disegno sublimato dalla spensieratezza «democristiana» di Fiorello. Un giorno lacrime, l'altro risate, è nella natura delle cose e l'Italia va.
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