LA VENEZIA DEI GIUSTI - 70 REGISTI PER 70 CORTOMETRAGGI IN GLORIA DEI 70 ANNI DELLA MOSTRA – RISULTATO: UN BALZO INDIETRO DI 70 ANNI

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Marco Giusti per Dagospia

"Future Reloaded - 70 cortometraggi per i 70 anni della Mostra". Possibile che qualcuno ancora si chieda quale sara' il futuro del cinema? Non parliamo poi dei festival. Dei 70 anni di Venezia ne ho vissuti, più o meno una quarantina. Più lontano vado col ricordo e più mi sembra meglio il passato del presente. Figurarsi il futuro.

E' la stessa idea che uno si fa guardando i 70 corti in questioni diretti da 70 registi da festival. Più che al futuro o al presente riandiamo tutti con nostalgia al passato. Come se il cinema e le sue cattedrali fossero ormai solo dei ricordi. Una tristezza. La maggior parte dei 70 registi interpellati pensa infatti al futuro del cinema mettendo in scena immagini del muto, dei classici, dei film più amati.

Impotenti, come Bernardo Bertolucci che nel suo "Scarpette rosse" si mostra sulla sedia a rotelle mentre cerca di procedere sui san pietrini sconnessi delle strade romani. Pensa al passato anche Jia Zhangke che mette elegantemente in fila i suoi film amati. O Salvatore Mereu che mostra a un vecchio pastore sardo su uno smartphone le sue immagine come attore in un film di Vittorio De Seta.

O Davide Ferrario che gioca su una comica di Buster Keaton mentre la macchina da presa mostra l'indifferenza di una grande citta' come Torino. Perfino Abbas Kiarostami reinterpreta il passato, rifacendosi addirittura all'"innaffiatore annaffiato" dei Lumiere ripreso in digitale. Tutta questa nostalgia per il passato del cinema, ben presto, ci imbarazza.

Meglio Franco Maresco che si rivolge a tre "mostri" siciliani che mangiano una torta in onore dei 70 anni di Venezia e in omaggio a Barbera. Molto meglio James Franco che almeno riprende una frase rivoluzionaria del giovane Francis Coppola: "La professionalita' del cinema va distrutta, cosi' il cinema diventera' una forma d'arte". Come se attraverso la professionalita' il capitale avesse ucciso o oscurato il cinema come arte.

E molto mi piace Kim Ki Duk che presenta la sua mamma che gli prepara un pappone di verza e latte. Ma il più audace e moderno e', a sorpresa, Atom Egoyan che mostra cosa cancellera' dalla memoria del suo cellulare. Una mostra di fotografie di Anton Corbjin. Sa che le foto rimarranno comunque, ma non rimarra' il suono dei suoi passi e l'emozione che ha provato, anche se filmando cio' che sta cancellando per sempre tutto questo rimarra' ancora una volta.

Ma in generale, i registi di oggi, anche i più' colti si mostrano antiquati e nostalgici nel parlare di cinema. Non ci sono più' i profeti alla Glauber Rocha come negli anni 60 o gli affabulatori nouvelle-vaguisti come Bernardo. Nel documentario che gli ha dedicato Luca Guadagnino, "Bertolucci on Bertolucci" si resta stupiti dal linguaggio di Bertolucci perche' quella era il linguaggio che si parlava tutti negli anni 60 e 70, perche' era il nostro linguaggio, cosi' legato al linguaggio del cinema, che abbiamo perduto.

E non sara' un caso se Godard ha intitolato il suo nuovo film, in 3D, "Apres le language". Per il resto, meglio i corti di giovanissimi registi, non cosi malati di nostalgia e di acciacchi del 900. Meglio pensare davvero al futuro.

 

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