LA VENEZIA DEI GIUSTI - “GLI EQUILIBRISTI” DI IVANO DE MATTEO È UN VIAGGIO NELLA NUOVA POVERTÀ URBANA DEI SEPARATI A 1200 € AL MESE, PERCHÉ “IL DIVORZIO È PER RICCHI”. NON DEL TUTTO RIUSCITO, MA BENE INTERPRETATO DA MASTANDREA E BOBULOVA, E DAGLI INEDITI ATTORI NEI PANNI DEI FIGLI. RACCONTA QUALCOSA DI VERO E SENTITO CHE CI RIMANE ADDOSSO A PROIEZIONE FINITA - ALLA SETTIMANA DELLA CRITICA, L’OPERA PRIMA DA REGISTA DI LUIGI LO CASCIO: “LA CITTÀ IDEALE”. UN GIALLO UN PO’ CONFUSO, CHE NON OFFRE OCCASIONE AL PROTAGONISTA DI MOSTRARE LA SUA DUTTILITÀ. MA LE GUEST STAR FUNZIONANO…

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Marco Giusti per Dagospia

1- GLI EQUILIBRISTI DI IVANO DE MATTEO

Non è facile suicidarsi sotto il tram numero 3 a Roma direzione Thordvalsen, anche perché non passa così di frequente. Un impiegato del Comune di Roma, pur ridotto alla fame dalla separazione con la moglie un po' stronza che non gli ha perdonato la scopata con una collega bonazza e soprattutto una serie di sms difficili da smentire, lo dovrebbe sapere. O no?

Detto questo, "Gli equilibristi" di Ivano De Matteo, il solo film italiano distribuito da Medusa presente a Venezia, sorta di viaggio nella nuova povertà urbana dei separati a 1200 euro al mese di stipendio, non è un film del tutto riuscito, ma è interpretato benissimo da Valerio Mastandrea e Barbara Bobulova, la coppia in crisi, e dagli inediti Rosabel Laurenti Sellers e Lupo De Matteo, i loro figli, e racconta qualcosa di vero e sentito che non può che rimanerci addosso a proiezione finita.

Cosa che non si può dire di tutti i film veneziani. E più che di neo-neorealismo sembra far ritorno al vecchio mélo matarazziano con il fato che scatena l'inferno nella vita di una famiglia. Credo però che non ci sia un giornalista, sposato e separato, che non si sia fatto i conti in tasca per capire come potrebbe sopportare una separazione con il proprio stipendio, perdendo la casa dove abitano moglie e figli e permettendo a loro lo stesso tenore di vita che avevano prima.

Perché, come dice saggiamente un personaggio del film, "Il divorzio è per i ricchi", gli altri, in questi anni di crisi economica e di prezzi sempre più alti, è meglio che ci ripensino, cerchino di convivere comunque. E, soprattutto, la smettano di scopare di qua e di là. Compagni, il comunismo è finito... Diciamo però che il personaggio di Mastandrea, l'impiegato quarantenne Giulio, buon padre di famiglia, è un bel po' sfigato. Prima viene sbattuto fuori casa dalla moglie Elena, che lavora in uno studio di analisi mediche, che non lo regge più perché ripensa sempre alle cazzate che lui scriveva all'amante. Certo, è un deficiente.

Inoltre non ha una madre, un fratello, un cugino pronto a ospitarlo. Solo l'amico napoletano Maurizio Casagrande, che lo piazza a casa sua in una cameretta di nascosto dalla vecchia madre con badante del Bangladesh. Dopo un giorno viene sbattuto fuori anche da lì e gira per case in affitto e tristi pensioncine. La figlia teenager Camilla, la bravissima Rosabel laurenti Sellers, cerca di tirarlo su andando a trovarlo (è la parte più riuscita del film), ma lui non riuscendo a far quadrare i conti, scende sempre più in basso finendo dentro un incubo alla "Io sono un evaso", vecchio film con Paul Muni.

Non si appoggia all'amico sindacalista, Rolando Ravello, e non si vedono sezioni del PD (sai che ci fai...). Lo aiutano gli extracomunitari e le associazioni cattoliche, tipo Sant'Egidio. E' così che finisce per dormire in auto e cercare il suicidio sotto al tram numero 3. Ora, è vero che qualcosa non torna, e lei è troppo rigida, del resto è la Bobulova e non la Ferilli, e il regista la colpevolizza troppo, vero che nessuno è così privo di amici a Roma e comunque parliamo di uno che non ha perso il posto di lavoro, che non è un esodato della Fornero, ma un impiegato, però il film ha qualcosa di zavattiniano e di matarazziano che ci fa pensare e parlare. E i dialoghi con la figlia sono molto riusciti.


2- LA CITTÀ IDEALE DI LUIGI LO CASCIO

L'idea non era male. Luigi Lo Cascio, alla sua opera prima da regista, "La città ideale", prodotto da Angelo Barbagallo e Rai Cinema e presentato a Venezia alla Settimana della Critica, si presenta con una specie di thriller kafkiano-ecologista ambientato in quel di Siena con tanto di aiuto economico del Monte dei Paschi. Lui stesso, nei panni dell'architetto palermitano Michele Grassadonia, un uomo che ha deciso di vivere in quella che lui ritiene la città ideale per portare avanti il suo esperimento, vivere senza acqua corrente e energia elettrica, muoversi senza auto, si ritrova, del tutto innocente, a dover rispondere di un omicidio colposo.

In una terribile notte di pioggia, obbligato dal suo capo, si è ritrovato a guidare la macchina dell'amico ecologista dopo sette anni di vita da pedone. E' pure una macchina nuova... Prima è andato a sbattere contro un'ombra misteriosa, poi ha rovinato la fiancata contro due auto ferme. Poi si è trovato un uomo ferito steso a terra. Ha cercato di soccorrerlo, ha chiamato la polizia. E si è ritrovato dentro una storia dalla quale non sa più come uscire. Il malconcio, l'uomo più ricco di Siena, sta morendo e lui non sa come dimostrare la sua innocenza, visto che i botti che ha preso la sua auto coincidono esattamente con quelli che avrebbe preso se avesse investito il poveretto.

Incastrone perfetto. Mettiamoci che Lo Cascio non accetta compromessi e vuole dire la verità a ogni costo. Così si incastra ancor di più. Mettiamoci anche una serie di personaggi assurdi, come una bella ragazza, tal Catrinel Marlon, pittrice di scene di prede e cacciatori, alla quale Lo Cascio affitta casa. Alta almeno il doppio del protagonista. Roberto Herlitzka come cavallaro senese che conosce la verità dell'accaduto. Massimo Foschi come il più celebre avvocato di Siena che si diverte a lavare i piatti nelle feste dei ricchi. Alfonso Santagata come cavilloso procuratore.

Gigi Burruano come avvocato palermitano che conosce tutti i trucchi per salvarti dalla prigione e Aida Burruano, nella vita sorella di Gigi e nella vita e nel film mamma di Lo Cascio. Se il film, malgrado la presenza alla sceneggiatura di uno specialista come Massimo Gaudioso, è un po' confuso e nel mischione di temi ecologisti, di piazze senesi e di Simone Martini non offre occasione al protagonista di mostrare la sua duttilità da attore, i numeri delle guest star teatrali presenti al salvataggio del neoregista funzionano perfettamente.

Ad eccezione di Roberto Herlitzka, ormai usato da caratterista in troppi film e del tutto fuori parte come cavallaro senese, Foschi e Santagata sono in gran forma e potrebbero essere ancora più sfruttati dal cinema, mentre i due Burruano, Gigi e Aida, sono il vero grande regalo che ci fa Lo Cascio. Vederli recitare a ruota libera ci riporta alla grande tradizionale popolare palermitana e ci domandiamo che film avrebbe potuto fare Lo Cascio con talenti come i loro. Ma con Palermo il vecchio Simone Martini c'entra veramente poco.

 

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