LA VENEZIA DEI GIUSTI - TERRY GILLIAM DELUDE PARECCHIO, “LOCKE” DI STEVEN KNIGHT È UN TRIONFO

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Marco Giusti per Dagospia

Boh? Questo "The Zero Theorem", ultima fatica di Terry Gilliam, ha deluso parecchio la platea dei critici, divisi tra chi applaudiva comunque il ritorno di un regista coraggioso, vitale e sfortunato che da troppi anni sembra ripetersi, e chi fischiava un'opera un po' inconcludente che non andava forse messa in concorso. Dopo un grande inizio nel più puro stile Gilliam, con la messa in scena di un futuro colorato e barocco con spot favolosi e vestiti da varieta', il film procedeva un po' a tentoni alla ricerca di un percorso narrativo che stentava a svilupparasi.

E dopo un'ora di giri a vuoto, malgrado la presenza di star meravigliose come Christoph Waltz come genio infornmatico Qohen Leth che sta passando la vita in attesa di una telefonata che gli dia un senso, Tilda Swinton come sua dentuta psicanalista virtuale, Matt Damon come padre-padrone della societa' che gli ha chiesto di capire il senso della vita, un'incantevole Melanie Thierry come esca femminile, era tanta la voglia di lasciare Gilliam ai suoi deliri.

Purtroppo anche la seconda parte non trovava una vera via d'uscita e la storia rimaneva confusa e claustrofobica, anche perche' si sviluppava tutta nella chiesa-casa di Qohen, dove si alternavano Melanie Thierry, il ragazzino Bob, figlio di Matt Damon, il suo caporeparto David Thewlis. Alla fine la cosa più interessante e' la dedica a Richard Zanuck, potente tycoon della Fox, che riapre la chiave padre-figlio molto presente nel film, prodotto e voluto da Dean Zanuck figlio appunto di Richard.

Decisamente più interessante, purtroppo, "Locke" dell'inglese Steven Knight, che avrebbe meritato il concorso e invece ne sta fuori. E' un tour de force, mai provato al cinema, di film interamente costruito su un solo attore, il grande Tom Hardy gia' visto in "Warrior" e nell'ultimo Batman, in viaggio in auto dal Galles a Londra che si gioca tutta la sua vita, lavoro, casa, famiglia, parlando in viva voce con una serie di persone a lui legate.

Ivan Locke, serio caporeparto che il giorno dopo, all'alba, deve controllare la più grande colata di calcestruzzo mai fatta in Europa, ha deciso, malgrado abbia due figli e una moglie che ama, di dare il suo nome al figlio che sta per avere da una donna, non giovanissima, con cui e' stato mesi prima. Non solo. Sara' presente al parto e perdera' il lavoro, anche se lo controllera' dando una serie di indicazioni al suo aiuto.

Lo vediamo quindi al telefono, via bluetooth, con la moglie, i figli, il suo capo, il suo aiuto, l'amante, i medici. Alla fine del viaggio la sua vita non potra' più' essere la stessa, perche' ha deciso di dire tutto alla moglie e al suo capo. Quando avrebbe potuto negare, dire bugie, nascondersi. Come fece con lui suo padre. Costruito benissimo gia' in sceneggiatura, malgrado qualche banalita' narrativa, "Locke" e' sorprendente sia come idea che come realizzazione e trova in Tom Hardy un grande e solido interprete. Grandi applausi sentiti e piccolo trionfo del film.

 

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