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Alessandro Alviani per "La Stampa"
Sessantotto anni dopo la fine della Seconda guerra mondiale la Germania potrebbe mettere a processo fino a trenta ex guardie del campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau. L'ufficio investigativo tedesco sui crimini nazisti ha annunciato di aver chiuso le indagini preliminari contro trenta presunti criminali di guerra e di aver trasmesso i rispettivi fascicoli a diverse procure, che dovranno decidere se rinviarli a giudizio, dopo aver valutato tra l'altro le prove e lo stato di salute degli ex guardiani.
I trenta, che vivono in diversi Länder della Germania, sono accusati di concorso in omicidio. Il più vecchio è nato nel 1916, il più giovane nel 1926. Il capo dell'ufficio investigativo, Kurt Schrimm, ha invitato a non nutrire aspettative eccessive: «à possibile che resteranno in pochi».
Il centro Simon Wiesenthal, che a luglio aveva lanciato in Germania la campagna «Operation Last Chance II» per raccogliere informazioni utili a processare i criminali nazisti ancora in vita, ha accolto la decisione con soddisfazione. Il suo direttore a Gerusalemme, Efraim Zuroff, si è detto però rammaricato che la giustizia non si sia mossa prima.
Perché c'è voluto tanto per riaprire i casi? Il punto di svolta è stata la sentenza contro John Demjanjuk, un guardiano del campo di sterminio di Sobibor, in Polonia, condannato nel 2011 in Germania a cinque anni di carcere per concorso nell'omicidio di oltre 28.000 persone.
Fino ad allora valeva il principio, espresso dalla Cassazione federale nel 1969 su Auschwitz, secondo cui per giungere alla condanna di un'ex guardia per concorso in omicidio bisognava dimostrare la sua colpa individuale.
Secondo l'ufficio investigativo tedesco, invece, dopo la sentenza Demjanjuk può essere citato in giudizio chiunque in un campo di concentramento abbia contribuito a far funzionare la macchina nazista dello sterminio, indipendentemente dalla sua funzione.
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