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1 - OBAMA STAR IN POLITICA ESTERA, MA NON BASTERA' - PRESIDENTE CHIUDE DUE GUERRE, ABBATTE TERRORISTI, MA LA GENTE PENSA AL LAVORO
Stefano de Paolis per "Ansa.it"
Nel 2011 il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha messo a segno una notevole serie di successi in politica estera e della sicurezza, che vanno dalla chiusura del capitolo guerre in Iraq e Libia, fino all'uccisione di bin Laden e al sostanziale indebolimento di al Qaida. Non e' pero' detto che gli americani ne terranno conto quando, esattamente tra 12 mesi, saranno chiamati a decidere se affidargli o meno la Casa Bianca per altri quattro anni. Tutti i soldati americani in Iraq ''torneranno a casa per le feste di fine anno'', ha annunciato Obama il 21 ottobre.
Appena il giorno prima, subito dopo l'uccisione di Gheddafi, aveva di fatto depennato il regime di Tripoli dalla lista dei nemici degli Usa, e ''senza dispiegare un solo soldato sul terreno'', come ha prontamente rivendicato. Per l'intervento in Libia, ha poi sottolineato il suo vice Joe Biden, ''l'America ha speso in tutto 2 miliardi di dollari, e non ha perso una singola vita''. Negli ultimi mesi, facendo un uso limitato della forza, Obama ha fatto centro pure con Osama bin Laden, che e' stato eliminato la notte del primo maggio con un'azione 'chirurgica' condotta da un commando di Navy Seals.
E ancora, con Anwar al Awlaki, lo yemenita che per anni ha fatto una efficace campagna di propaganda e reclutamento per al Qaida, e che e' stato eliminato il 30 settembre da un drone della Cia. Si tratta di risultati che secondo sondaggi portano di 10 o 15 punti in su' il livello di apprezzamento per la politica di Obama sulla sicurezza.
Le stesse ricerche mostrano pero' un gap di 20 punti per cio' che riguarda l'economia. ''Gli americani non hanno votato per Obama per fargli rincorrere i cattivi in giro per il mondo'', ha scritto un commentatore del Daily Beast. Se questo e' vero, difficilmente dunque gli elettori si preoccuperanno piu' di tanto per le sfide internazionali che attendono la prossima amministrazione, da chiunque sia guidata.
A cominciare dalla continuazione della lotta al terrorismo, o allo spionaggio industriale nel cyberspazio, o la salvaguardia delle principali rotte marittime, e anche di alcuni Paesi amici e produttori di petrolio, e pure il contenimento della potenza economica della Cina, e della proliferazione nucleare, in Corea del Nord, e in particolare in Iran, in un momento in cui Teheran trae peraltro vantaggio dal ritiro americano in Iraq. Cosi' come la Siria, che fino ad ora e' apparsa totalmente refrattaria alle sollecitazioni degli Usa e dell'intera comunita' internazionale.
Di certo, nella campagna elettorale nessuno dei candidati repubblicani ha sollevato questi temi. Nessuno di loro ha formulato idee sui cambiamenti in corso con la Primavera Araba, o se e come gli Stati Uniti dovrebbero sostenerla. Anzi, per la verita' sono argomenti da cui si sono cautamente tenuti cautamente alla larga; con uno di loro che ha pure ammesso di capirne molto poco, ovvero l'ex magnate della pizza Herman Cain, attualmente in testa ai sondaggi. Ad una domanda sull'importanza strategica dell'Uzbekistan, dove transitano vitali rifornimenti per le truppe Usa in Afghanistan, ha replicato: ''Se mi chiedono chi e' il presidente dell'Uzbeki-beki-beki-beki-stan-stan, io rispondo: Lo sai, non lo so. Ma poi dico: questo porta un nuovo posto di lavoro?''
2 - IL RITORNO IN GRANDE STILE DI "SARKÃ L'AMERICANO"
Alberto Mattioli per "La Stampa"
La nuova strana coppia della politica internazionale? Sarkozy e Obama. Attenti a quei due. Venerdì sera le due principali tivù francesi hanno trasmesso un'inedita doppia intervista, registrata nel pomeriggio nel Municipio di Cannes a G20 consumato. Per un quarto d'ora, Nicolas & Barack hanno tubato a reti unificate. L'americano ha lodato «la leadership impressionante» dell'altra coppia Merkel-Sarkozy sulla crisi dell'euro e il francese ha assicurato di aver informato la Casa Bianca «minuto per minuto».
Per Barack, Nicolas è un alleato «aperto ed energico» su economia e sicurezza, per Nicolas, Barack «è un amico con cui si può parlare e che dà fiducia». E sugli argomenti su cui non si è d'accordo, si fa finta di esserlo: vedi la tassa sulle transazioni finanziarie. Obama ha detto no, o almeno non ha detto sì, però per Sarkozy «è il primo presidente che fa un passo in questa direzione». Eccetera.
Berlusconi non è pervenuto, l'Italia di sfuggita con una frase a doppio taglio di Sarkò: «L'apprezzo moltissimo per molte ragioni, comprese quelle familiari, ma ci sono delle regole». Quanto al fatto che entrambi siano presidenti uscenti, a caccia di un secondo mandato e con sondaggi pessimi, Barack ha fatto sapere che Nicolas «non ama perdere», quindi forse avevano ragione i socialisti francesi a preoccuparsi per lo spottone.
Non l'unico, peraltro: nel pomeriggio, i due avevano fatto coppia anche per l'omaggio ai vincitori della Libia. Sotto una pioggia battente, hanno ascoltato la banda della Legione suonare La Marsigliese e straziare The Star-Spangled Banner e poi hanno rievocato le guerre combattute insieme, a cominciare da quella d'Indipendenza vinta in realtà dalle armi di Luigi XVI a Yorktown («Yorktòn», per Sarkò). Poi il presidente francese giura che «la Francia non dimenticherà mai» e quello americano ringrazia «Nicolas, my friend» per la collaborazione in Afghanistan. Retroscena curioso: i francesi dicono che sono stati gli americani a chiedere di organizzare il tutto, gli americani che sono stati i francesi.
Resta il fatto che sulle ricette anticrisi Washington è più vicina alle posizioni di Parigi che a quelle di Berlino. E Sarkozy torna come «l'americano», il più atlantico dei presidenti della Quinta Repubblica che l'America l'hanno sempre detestata, chi più chi meno. I rapporti fra i due amiconi, in realtà , non sono sempre stati idilliaci. In settembre, all'Onu, Barack ha amabilmente preso in giro Nicolas impegnato a salvare il mondo una volta di più: «Io ho già avuto un Nobel che non meritavo, adesso ci provi tu». E a Washington non hanno apprezzato né la fretta di Parigi sulla Libia né il suo voto per la Palestina all'Unesco.
Dal canto suo, Sarkò fu molto colpito dalla vittoria di Obama, ma poi non ne ha sempre parlato bene: «In Medio Oriente ci ha molto deluso»; «Aspetta sempre l'ultimo momento per decidere, e alle volte è tardi». Però ha capito (con i francesi non è scontato) che comunque «non tiriamo di boxe nella stessa categoria». Alla fine, come racconta il ministro Laurent Wauquiez, «è come con Merkel. All'inizio si irritavano, adesso hanno trovato una forma di complementarità ». Che non è proprio la stessa cosa della grande amicizia, come ritengono anche i telespettatori di BfmTv che, sondaggiati in diretta, ci credono al 35% e per il 65 no.
Però la sponda di Barack per Nicolas resta preziosa. Il G20 francese, sabotato da Papandreou, è stato salvato da Obama. Per l'Eliseo, a 169 giorni dal voto e a due dall'annuncio della prossima manovra di lacrime e sangue, un Obamaday è una manna per l'immagine. Anche perché, ha confidato Sarkò ai suoi, quanto a contatti internazionali, il suo sfidante François Hollande «conosce solo i congressi dell'Internazionale socialista...».
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