GONG! LA BATTAGLIA FINALE TRA BERSANI E NAPOLITANO

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Fabrizio Rondolino per "il Giornale"

Ne rimarrà in piedi uno solo. O for¬se nessuno dei due, perché lo tsunami grillino potrebbe non arrestarsi più. Di certo, il duello fra Gior¬gio Napolitano e Pier Luigi Bersani, co-minciato quella sera del novembre 2011 quando il capo dello Stato fece trangugiare al segretario del Pd il gover¬no tecnico, è arrivato agli ultimi colpi. I più duri, i più pericolosi. Che lo scontro avvenga fra un dirigente storico del Pci e un comunista emiliano può forse apparire un paradosso, ma in realtà è la controprova della sostanza politica in gioco.

Che si potrebbe semplificare co¬sì: da una parte c'è il tentativo di argina¬re la rivoluzione grillista con un po' di buona politica,dall'altra c'è la pervica¬ce volontà di inseguire Grillo su tutti i fronti per accaparrarsi la poltrona di Pa¬lazz¬o Chigi che gli elettori hanno nega¬to a Bersani.

Mentre il Quirinale lavora, dal pomeriggio del 25 febbraio, a una soluzione condivisa del rebus elettora¬le che non ha consegnato nessun vinci¬tore né numerico né politico, il leader del Pd si accanisce nella direzione op¬posta, disfacendo rumorosamente ogni volta la tela che Napolitano prova a tessere in silenzio.

Bersani vuole l'incarico a tutti i costi, e lo vorrebbe pieno e senza riserva, così da andare direttamente in Parlamento e conquistarsi, se non una maggioran¬za, quantomeno il diritto di sedersi a Pa¬lazzo Chigi e condurre il Paese a nuove elezioni. Napolitano sa che questo non è possibile, e che qualsiasi soluzione deve passare, come del resto è ovvio in un regime parlamentare, dal consenso di una maggioranza.

E non di una maggioranza qualsiasi: anche i sassi sanno che Grillo non accetterà ac-cordi, per il buon motivo che la sua ragione sociale è lo sfratto definitivo dei partiti, senza eccezione alcuna. Dunque qualsia¬si accordo deve coinvol¬gere anche il Pdl e, possibilmente, Scelta civica. I richiami più volte espres¬si da Napolitano (senza esito) in queste settimane, gli inviti alla responsabilità e alla moderazione, gli appelli al buonsenso sono andati in questa direzione. Ma Bersani ogni vol¬ta ha fatto spallucce.

Quando cadde il governo Berlusco¬ni, Bersani chiese le elezioni anticipa¬te. Non le ottenne perché la crisi finan¬ziaria non le consentiva, e fu costretto ad accettare Monti e la «strana maggio¬ranza ». Molti nel Pd, convinti di vince¬re a man bassa, pensarono però a un dispetto del Quirinale, che in passato non aveva mancato di sottolineare, ri¬cordando la lezione di Antonio Giolitti, lo scarso tasso di riformismo, e dunque di affidabilità, del partito bersaniano. Quei malumori non si sono mai sopiti, e le distanze sono cresciute.

Del resto, Napolitano non aveva torto: lo sfilaccia¬mento del governo Monti comincia con l'attacco della Cgil alla riforma For¬nero, subito spalleggiato da un Pd ar¬roccato sul fronte conservatore.

Può considerarsi un dispetto (an¬che) a Napolitano il mancato accordo sulla riforma elettorale, più volte e insi¬stentemente richiesta dal Quirinale: il Porcellum faceva comodo a tutti, ma il Pd- in testa a tutti i sondaggi - era con¬vinto di poterne trarre un vantaggio senza precedenti: «vincere» le elezioni con meno del 30% dei voti. Peccato che esista anche il Senato. Dopo il voto Ber¬sani si è comportato come se Palazzo Chigi gli spettasse di diritto. Ha escluso da subito ogni possibile intesa - anche tecnica, anche transitoria - con il Pdl, rialzando la muraglia dell'antiberlu¬sconismo sperando di accattivarsi la simpatia dei grillini.

Il suo braccio de¬stro, Migliavacca, si è detto favorevole all'arresto di Berlusconi (peraltro non richiesto da nessuno) proprio mentre Napolitano cercava di ricondurre la magistratura nel suo al¬veo costituzionale.

Bersa¬ni ha poi bruciato ogni possibilità di intesa sulle presidenze delle Came¬re, imponendo due dei suoi (il cui pregio maggio¬re è non essere mai stati prima in Parlamento: e chissà che Napolitano non abbia avuto un altro sussulto), e ora punta a occupare anche il Quirinale, respingen¬do con sdegno la proposta di Alfano di una presidenza condivisa.

Peggio di così, le consultazioni non potevano cominciare. Alla ragionevo¬lezza istituzionale di Napolitano, Ber¬sani ha opposto giorno dopo giorno una linea avventurista.Ma se vince l'av¬ventura, perdono tutti. Tranne Grillo, naturalmente.

 

 

BERSANI E NAPOLITANO bersani_napolitanoBeppe Grillo BERLUSCONI AL SENATO CON GLI OCCHIALIMaurizio Migliavacca