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Ugo Magri per "la Stampa"
A pretendere la messinscena davanti al Palazzo di Giustizia («una marcia silenziosa», conferma la Gelmini) inizialmente era stato Berlusconi medesimo. Falso che gliel'abbia chiesto il partito. Vero, semmai, che coralmente i neoeletti si sono messi a disposizione perché su questa vicenda, conferma la Santanché, «non esistono falchi e colombe», tutti quanti tirano fuori gli artigli. Deputati e senatori Pdl hanno ricevuto la convocazione per le 11 di stamane, spedita via sms da Verdini, e qualche avanguardia ieri sera è stata vista «attovagliarsi» (direbbe Dagospia) nei pochi ristoranti di lusso aperti la domenica intorno alla Galleria. Alfano e Cicchitto invece sono sbarcati nella Capitale Morale già verso l'ora di pranzo, ma solo per fare visita al leader sofferente, sconvolto e furioso nella sua stanza di ospedale.
Che cosa si siano detti con esattezza, non è dato sapere. Fatto sta che, dopo questo colloquio, al San Raffaele è piombato Ghedini. Col supporto del suo avvocato, il Cavaliere ha redatto la lunga dichiarazione sulle prime intesa come una retromarcia. E in parte certamente la è per quanto riguarda il folklore: niente più adunata sediziosa di un terzo del Parlamento contro i giudici milanesi, in nome di un impossibile trasferimento «altrove» dei processi berlusconiani.
I gruppi parlamentari si riuniranno al chiuso per calibrare le prossime mosse che, sulla carta, nulla escludono. Nemmeno un clamoroso Aventino di cui Silvio vagheggiava l'altro ieri con il fido Mantovani e con i rari visitatori ammessi dal professor Zangrillo. La minaccia di non presentarsi venerdì in Parlamento, quando si eleggeranno i presidenti di Senato e Camera, resta tuttora sospesa in aria. E sarebbe senza dubbio un pessimo inizio per la XVII legislatura repubblicana, nessuna persona di buonsenso potrebbe gioirne.
Semplicemente, è stato deciso di non precipitarsi verso il burrone. Grazie alla missione di Alfano e Cicchitto, spalleggiati per telefono da Bonaiuti e da un allarmatissimo Gianni Letta, il Capo s'è lui stesso convinto che prima di terremotare le istituzioni sarebbe bene mettere in campo qualche altra idea. Per esempio, sentire che cosa suggerisce Napolitano (paradossi della storia: l'uomo del Colle, l'unico di cui il centrodestra riconosca l'autorità morale, è un antico comunista di quelli doc).
Dunque Alfano pare si sia messo in moto, chiedendo formalmente un incontro con il Capo dello Stato, dal quale si recherebbe a conferire accompagnato dai due capigruppo uscenti: Cicchitto e Gasparri (per le nuove poltrone si propongono invece Schifani e Brunetta). Saranno ricevuti dal Presidente? E quando? Due sole le certezze. Anzitutto, se Berlusconi e il Pdl non avessero rinunciato alla marcia contro la Boccassini, il Capo dello Stato nemmeno avrebbe preso in considerazione la loro richiesta. In virtù dell'alta carica, Napolitano presiede il Csm, che è l'organo di autogoverno dei giudici. Potremmo definirlo il primo magistrato della Repubblica. Impossibile pretendere che di colpo si sdoppi e avalli una sguaiata protesta contro le toghe...
L'altra certezza: se e quando si troverà di fronte la delegazione Pdl, Napolitano allargherà le braccia. Non c'è alcun salvagente che possa lanciare al Cavaliere, nulla che possa fargli scudo dalle condanne. Anche volendo (circostanza dubbia) mancherebbero gli strumenti. Tra l'altro, non si sa neppure se nascerà un governo o se tra breve torneremo a votare. Alfano, benché giovane, si fa poche illusioni. Insomma: l'eventuale gita al Colle sembra volta soprattutto a guadagnare tempo, in attesa di sviluppi, perché pure in politica la speranza è l'ultima a svanire.
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