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Massimo Gaggi per il "Corriere della Sera"
«Per quello che ne so io, è in ottima forma, sta meglio di me». Tocca all'ex presidente Bill Clinton correre in soccorso della moglie Hillary, attaccata da Karl Rove con una serie di colpi di bassi. Lo stratega delle vittorie elettorali di George Bush che, a quanto pare, siede ancora nella cabina di regia della campagna repubblicana, qualche giorno fa ha usato l'arma più pesante, e anche la più spregevole, in una battaglia politica: le insinuazioni sullo stato di salute dell'avversario.
Rove ha avanzato dubbi sui danni subiti dall'ex segretario di Stato quando, due anni fa, svenne battendo violentemente la testa contro la vasca del suo bagno.
Lo stratega repubblicano prima ha accennato a possibili danni cerebrali permanenti, poi ha smentito di aver usato questa espressione, ma ha comunque ribadito che lo stato di salute della ex «first lady» sarà un elemento centrale nella campagna 2016, se Hillary deciderà di candidarsi per la Casa Bianca.
Un attacco pesante, privo di valide motivazioni, che ha provocato l'indignazione dei democratici e molte critiche anche nel fronte conservatore (Boehner, il leader dei repubblicani, ha addirittura detto che è Rove ad avere problemi cerebrali). Un «boomerang»? Niente affatto: Rove, notano diversi analisti repubblicani, ha centrato il suo obiettivo. Certo, lui subisce personalmente molte critiche, ma, intanto, sposta i riflettori della campagna elettorale.
D'ora in poi sarà difficile parlare delle Presidenziali 2016 senza pensare alla salute di Hillary. E, anche se gli argomenti di Rove sono privi di fondamento e contraddittori, l'importante è aver sollevato i dubbi, alimentando una nuvola d'incertezza.
E' la stessa tecnica usata nel 2008 contro Obama, quando fu seminato il dubbio che il candidato democratico non fosse nato in territorio americano.
La campagna continuò anche dopo la pubblicazione degli attestati perché l'obiettivo era quello di rendere tutto precario e discutibile. Lo stesso oggi: Bill Clinton è costretto ad assicurare che la moglie lavora sodo, che è forte, che si sente bene, che è più determinata che mai. Parole chiare e razionali ma che nel tritacarne della macchina della comunicazione finiscono per fare il gioco di Rove.
Che riesce a segnare qualche punto propagandistico a suo favore anche quando viene colto in fallo. «A suo tempo dicevano che era una malattia inventata» ha aggiunto l'ex presidente, ricordando che a fine 2012 molti repubblicani accusarono Hillary di essersi inventata la commozione cerebrale per non rendere conto al Congresso degli errori commessi dal governo Usa a Bengasi, quando fu ucciso l'ambasciatore Stevens.
«Mentre adesso» ha aggiunto Bill con una notevole dose di sarcasmo, «la trattano come una pronta a recitare una parte ne "I morti viventi"». Battuta brillante ma dagli effetti deleteri: nel giro di pochi minuti «Drudge Report», il sito più letto della destra, riprende la polemica illustrandola con un'immagine di Hillary invecchiata e trasformata addirittura in una «zombie». Il biglietto da visita di un'altra campagna senza esclusione di colpi.
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